Il giovane soprano salva Anna Bolena

Anna Bolena, nell’edizione critica curata da Paolo Fabbri in collaborazione con la casa musicale Ricordi e la Fondazione Donizetti, è andata in scena al Teatro alla Scala. Un’edizione che riapre i tagli che la prassi corrente impone a una partitura giudicata troppo lunga: il Maestro Gavazzeni, parlando della storica edizione scaligera di Anna Bolena che di colpo portò il tiolo donizettiano a notorietà internazionale, giustificò i tagli operati con la necessità di farlo conoscere senza impegnare gli spettatori oltre misura. Diventato oggi titolo operistico di repertorio, è arrivato il momento di riscoprirlo nella veste che Donizetti aveva creato per la prima al Teatro Carcano. Nel 1830, un gruppo di nobili e della ricca borghesia milanese si era consociato per presentare al Carcano una stagione di eccezionale ricchezza ed interesse. Fino ad allora quella sala teatrale aveva ospitato rappresentazioni di prosa o di spettacoli lirici di minore importanza. Non badarono a spese ingaggiando i divi del momento, ossia il soprano Giuditta Pasta e il re dei tenori ottocenteschi, Giambattista Rubini, senza passare sotto silenzio il basso Filippo Galli. L’esito fu un crescendo di entusiasmo che sfociò in un vero trionfo.
Al Teatro alla Scala Anna Bolena torna dopo la burrascosa performance del 1982, protagonista Montserrat Caballè. In quella serata un’atmosfera intrisa di eccessiva passionalità impedì un sereno giudizio sull’interpretazione della protagonista; in quest’edizione, invece, caratterizzata da un’aurea mediocritas, si rivela per contro il giovane soprano Federica Lombardi, al debutto nel ruolo. Mediocre l’allestimento dell’Opéra National de Bordeaux, firmato da Marie-Louise Bischofberger, che si faceva notare per una regia inconcludente, caratterizzata da movimenti prevedibili e convenzionali dei protagonisti, con aggiunte di dubbio gusto quali la bimba, futura Elisabetta I oppure i cani in palcoscenico. Non meglio sul versante della messinscena, di una poco significante astratta essenzialità, condita da sporadici elementi scenici banalmente simbolici e allusivi: uno per tutti il trono double-face, che si trasforma in patibolo. Funzionali i costumi, esaltati da intense cromie, specialmente quelli di Anna Bolena. Dirigeva Ian Morin (subentrato al maestro Campanella), preoccupato di legare cantanti e orchestra, ha diretto con funzionale routine, impiegando tempi quasi sempre sostenuti e privi di un vero scandaglio della partitura. Responsabile dei diversi tagli operati sulla partitura, si è impegnato in una sufficiente tenuta di palcoscenico, ma di scarsa originalità interpretativa; incapace di vera resa espressiva, non ha sbalzato il dramma esistenziale della regina.
Contagiato anche il Coro scaligero, che sembrava meno partecipe e preciso del solito. Enrico VIII era un opaco Carlo Colombara, dal timbro ormai logoro e scarsamente regale, dal fraseggio falsamente imponente e soprattutto con imbarazzanti problemi di intonazione. Non brillante neppure la prova di Sonia Ganassi, voce che ha perso smalto e sonorità, non più fluida nella coloratura, fa valere la sua professionalità come interprete, disegnando una Giovanna di Seymour appassionata e di rango. Non condivisibile la scelta di Piero Pretti come Lord Riccardo Percy, tenore contraltino che richiama i fasti della strepitosa voce di GianBattista Rubini, il primo interprete. Pretti non si può certo definire timbro donizettiano, svuota di corpo il medium arrampicandosi su una tessitura acuta che non gli si confà perfettamente, rendendo squillante l’ottava alta ma con acuti sempre tesi. Risulta più interessante come interprete, riuscendo a rendere l’ambiguità e la tragicità del personaggio, piagato e dolente per amore, che segue nel suo amaro destino la protagonista. Mediocre lo Smeton di Martina Belli, contralto sulla carta, perché in realtà se il timbro è apprezzabile nei centri la voce è gonfiata e povera di armonici nei bassi, sfociando in una superficiale caratterizzazione del personaggio. Funzionale, anche se un po’ ingolato, il Lord Rochefort di Mattia Denti mentre Giovanni Sebastiano Sala era un misurato Sir Harvey. In questo contesto si inseriva la protagonista, il giovane soprano Federica Lombardi, allieva dell’Accademia della Scala. Dotata di avvenente bellezza e di un personale importante ben gestito, porta in scena una ventata di freschezza e di convinta teatralità. Voce di soprano lirico di buon volume, dotata di bella proiezione nei centri e negli acuti, mostra una zona grave non sempre timbratissima; una voce che “corre” e squilla, particolarmente penetrante nell’ottava alta. Ancora un po’ acerbo il fraseggio e la personalità deve farsi più incisiva: alcune frasi, pur non mancando di autorità, sono risolte nel canto. Coinvolgente il finale: nel recitativo “Piangete voi?” e nella conclusiva aria “Al dolce guidami” sfoggia le doti migliori fondendo interpretazione con buone qualità tecniche; rende con partecipazione la scena di pazzia e corona un’interpretazione carica di pathos. Recita del 20 aprile 2017.
Foto a cura di Marco Brescia & Rudy Amisano
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