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Home›Cronaca e Attualità›La nera›Strage in Tribunale, il giorno dopo

Strage in Tribunale, il giorno dopo

By Redazione
10 Aprile 2015
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«Grazie per avermi fermato, ne avrei ucciso un altro». Queste le parole di Claudio Giardiello, che ieri, al tribunale di Milano, ha letteralmente fatto una strage. Tredici i colpi sparati dalla sua calibro 9, quattro i morti e 2 feriti. Ma il piano di Giardiello prevedeva l’uccisione di un altro uomo, un suo ex socio in affari, Massimo D’Anzuoni. Per lui, aveva tenuto in canna un colpo e altre 4 pallottole. Il killer era pronto a scaricare il caricatore contro l’imprenditore che ieri non si trovava nel luogo della tragedia perché il suo avvocato non aveva ritenuto rilevante la sua presenza al processo dove erano entrambi imputati per bancarotta fraudolenta nel processo per il fallimento (nel 2008) della società Magenta Immobiliare.
Giardiello in giacca e cravatta nera, è riuscito ad evadere i controlli del Tribunale con un falso tesserino da avvocato, e ha poi raggiunto l’aula della seconda sezione penale e, dal fondo dell’aula, ha estratto per la prima volta la pistola Beretta calibro 9 con cui, da li a breve, si apprestava a compiere una strage.

INFOGRAFICA: la ricostruzione della strage
L’immobiliarista era in piedi, alle spalle delle panche riservate al pubblico. Le sue mani stringevano il freddo ferro dell’arma quando il suo ex avvocato civile, Lorenzo Loris Appiani, una delle vittime, è entrato dalla porta a sinistra dell’aula rispetto al killer per prestare giuramento prima di testimoniare.
Giardiello aveva appena litigato con il suo avvocato penalista, Michele Rocchetti, che aveva rinunciato al mandato, quando ha impugnato la pistola. Per prima cosa ha sparato contro il nipote Davide Limongelli, sopravvissuto e ora ricoverato in prognosi riservata all’Ospedale Niguarda di Milano, che lui accusava di avergli rubato dei soldi. Colpito all’addome, Limongelli è caduto supino vicino alla gabbia riservata ai detenuti sulla destra.
La vendetta di Giardiello era appena cominciata: ha puntato l’arma contro il coimputato Giorgio Erba, che è caduto tra le panche ed è morto quasi sul colpo. Poi il killer si è diretto verso l’uscita e quando si è trovato a pochi passi dal banco riservato alla pubblica accusa sucui sedeva il pubblico ministero Luigi Orsi, ha puntato l’arma contro Loris Appiani e lo ha colpito da pochi passi di distanza. L’avvocato è morto all’istante e il corpo è stato trovato tra il banco del pm e quello dei giudici.

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Giardiello è poi uscito e, seduti sulla panchetta alla sua sinistra accanto all’ingresso laterale dell’aula, ha trovato il commercialista Stefano Verna, che in passato aveva indagato su di lui per conto dei giudici fallimentari, insieme all’avvocato Paolo Brizzi, che invece non conosceva. Assetato di vendetta, il killer, ha sparato 2 colpi all’indirizzo di Verna raggiungendolo ad una coscia e ad un piede, e ferendo di striscio una gamba di Brizzi. Più tardi, due bossoli verranno ritrovati nei pressi della panca.
In quegli stessi istanti, brevi ma interminabili, concitati, densi, intesi, pregni di terrore e di sangue una mail dal procuratore della Repubblica, dal presidente della corte d’appello, dal presidente del tribunale, avverte tutto il personale presente in Tribunale : «Restate in ufficio, c’è stata una sparatoria. Ci sono dei morti. Il killer è ancora in giro».
Giardiello, poi, è andato nella direzione opposta, probabilmente senza correre, nascondendo l’arma e raggiungendo le scale che dal terzo piano scendono fino all’ingresso di via Manara. Gli investigatori ritengono che sia sceso direttamente fino al secondo piano, imboccando un corridoio alla sua destra che porta all’ufficio del giudice Fernando Ciampi che si trova sul retro del Palazzo. Lì lo ha ucciso senza pietà. Pare che il magistrato, occupandosi del fallimento della sua società immobiliare, avesse anche scoperto un giro di assegni falsi riconducibili allo stesso Giardiello.
In preda ad una follia omicida Giardello era determinato a portare a termine il suo piano. Tornato sui suoi passi, è uscito da via Manara, un ingresso laterale del Tribulane, davanti al quale aveva lasciato lo scooter con cui è fuggito in direzione Carvico, Bergamo. Lì avrebbe voluto portare a compimento il suo folle regolamento di conti: uccidere D’Anzuoni.

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A fermare la pazza corsa dell’immobiliarista, saranno più tardi due carabinieri.
Una vendetta contro tutti maturata per sette lunghi anni, da quando nel 2008, la sua società era stata dichiarata fallita.

E mentre Giardello ringrazia di averlo fermato, oggi Milano si è svegliata con la consapevolezza che qualunque cosa può succedere, e non sempre lontano da noi. Purtroppo. I milanesi che solitamente corrono veloci e incuranti di tutto e tutto, il giorno dopo la tragedia sembrano essere più cauti.
Le polemiche sulla società esterna che gestisce i controlli del Tribunale, da sette mesi circa, la Securpolice Servizi Fiduciari s.r.l. (subentrata alla GF Protection), erano montate immediatamente dopo aver appreso la notizia di quanto stava accadendo e si era compiuto nel Palazzo di Giustizia milanese dove oggi, all’indomani della tragedia, pare, i controlli siano serratissimi.

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A stazionare l’ingresso di via Manara, assieme alle guardie della vigilanza privata, anche un carabiniere. All’entrata principale di corso di Porta Vittoria, invece, dove c’è l’ingresso con metal detector riservato al pubblico si è creata una lunga fila lungo la scalinata e anche qua pare che i controlli siano più stringenti. Stessa restrizione in via Freguglia dove si sarebbe creata una piccola fila all’altro ingresso nella parte riservata al pubblico con metal detector, e in quella per gli operatori e personale i controlli sui tesserini vengono fatti con cura. Così come sta avvenendo nel quarto accesso quello di via San Barnaba. Una guardia privata tiene a precisare: “E’ tutto normale, i controlli procedono come sempre” ma secondo un rappresentante dei vertici degli uffici giudiziari, però, stamattina i controlli sono stati più stringenti del solito

Il prossimo 13 aprile verrà convalidato l’arresto di Giardiello, che era stato trovato in possesso di altri falsi tesserini, oltre a quello che avrebbe utilizzato per entrare in Tribunale, e una pistola con 4 pallottole ed un colpo in canna.

Per quanto accaduto ieri, non è escluso che la procura di Monza ipotizzi il reato di strage nei confronti di Claudio Giardiello, per il quale, al momento, lo stato l’imputazione è di omicidio plurimo premeditato, tentato omicidio e lesioni gravi nei confronti dei feriti.

E sempre per lunedì prossimo, è stata disposta l’autopsia delle tre vittime della strage (una quarta sarebbe morta d’infarto).

L’uomo durante l’arresto, avrebbe ha parlato moltissimo senza però confermare poi durante l’interrogatorio formale. Il killer avrebbe inoltre detto che se non fosse stato fermato si sarebbe ucciso.

 

La storia della Immobiliare Magenta

Nella relazione di Walter Marazzani, il curatore fallimentare della Immobiliare Magenta, si descrive a grandi linee la parabola di Giardiello, fondatore, nel 1993, della società con sede nel cuore di Milano e nella quale «ha sempre avuto tutti i più ampi poteri, tranne una breve pausa dal 26/11/2002 al 14/05/2003», in cui è stata amministrata dal nipote (il figlio della sorella) Davide Limongelli con cui poi sono cominciati i dissapori fino ad arrivare a un vero e proprio «conflitto».

Il curatore del fallimento – dichiarato nel marzo 2008, in seguito all’istanza dell’avvocato Lorenzo Claris Appiani, una delle vittime di ieri e che allora era creditore per essere stato il legale della Immobiliare in diversi contenziosi – ricostruisce il giro di affari di Giardiello, che come aveva detto sette anni fa proprio l’immobiliarista-pluriomicida, negli anni successivi al 1997, «anno in cui cedette il 30 per cento al nipote», «crebbe ancora di molto». Inoltre, mette in luce «lo schema» con cui il 57enne, ora in carcere, e le persone con cui nel tempo è diventato socio e poi coimputato, definite «la consorteria», si sarebbero spartite «il nero».

Si tratta di «somme non contabilizzate» in contanti e provenienti da importanti interventi immobiliari, anche per il tramite di altre società di cui Giardiello aveva una quota o una partecipazione come socio occulto (alcune fallite), in via Luini, in via Washington e in via Biella. «Un giocattolo che aveva prodotto soldi facili per tutti nella totale impunità» e che Giardiello a metà del 2005 decise di rompere.

«Per ragioni non chiarissime ma che presumibilmente risiedono sia nel suo crescente bisogno di denaro – prosegue la relazione -, sia nell’aver ritenuto che il suo temporaneo ‘distacco’ dagli affari abbia indotto gli altri soci» (il nipote Davide, Giorgio Erba, D’Anzuoni e Tonani) «a sottrargli somme rilevanti», Giardello ha deciso «di agire contro tutti. Tale aggressività ha prodotto plurime azioni civili e numerosi esposti denuncia in sede penale».

Per il curatore questo cambiamento di «atteggiamento è stata una delle cause del dissesto della Immobiliare Magenta srl, ma non l’unica». Infatti nel documento si spiega che le distrazioni di denaro dalle casse della società a vantaggio suo e di una delle cognate, sono dovute al «disprezzo e alla noncuranza per leggi e regole di Giardiello e compagnia» e all’ «avidità che lo ha reso cieco di fronte all’evidente progressivo e costante (…) depauperamento del patrimonio sociale». A ciò si aggiungono il suo «progressivo disinteresse (…) per il lavoro, il litigio con il nipote e (…) il tutti contro tutti».

 

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(m.a.)

credit photo: Ansa

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