Alfano come Kennedy?

Con commovente ritardo, mi trovo a riflettere sulle magnifiche sorti e progressive (non è mia, pesco a piene mani dal Leopardi) del nostro ministro dell’Interno, Angelino Alfano.
Poveretto, lo volevano far fuori “come Kennedy”.
Nel voler uccidere una persona io ci vedo solo la miseria di questo Paese. Chiunque questa persona sia. Nel volerla uccidere “come Kennedy”, c’è da una parte il desiderio di un qualcosa di manifesto, epocale, segno di una mafia che in questi anni si sente poco, che manca dalle prime pagine. Strano, la mafia ha sempre detestato il clamore. Negli anni ’50 il capobastone Genco Russo da Mussomeli era uno che non disdegnava la foto sui giornali locali, e gli accoliti, l’amici di l’amici, come si sono sempre chiamati, lo soprannominavano, con spregio, “La Lollobrigida”.
Poi, visto che come diceva Warhol “tutti avranno 15 minuti di celebrità, la mafia si è accorta del suo lato telegenico.
La TV, i titoli dei giornali, li hanno cercati, buttandosi nelle stragi. Tutti ricordiamo Capaci e via D’Amelio, ma dovremmo anche ricordarci della strage di Ciaculli del ’63, della strage del rapido 904 del 23 Dicembre 1984, via dei Georgofili, Palestro.
Da qualche anno non fanno più notizia.
D’altra parte, uccidere uno “come Kennedy” significa scomodare paragoni importanti, dare un’importanza al nostro Angelino, che, non me ne voglia, proprio non si merita. Non si adombri il ministro, in realtà, in questa politica italiana, non è certamente il solo a non meritare certi paragoni. Ma Angelino, al di là di tutto, proprio non si merita un simile trattamento da parte della mafia. Che ha sempre rivolto pensieri ed odi per persone che, come dire, le hanno creato grattacapi, fastidi, odi.
Dal Procuratore Scaglione al giudice Terranova, dal superpoliziotto Boris Giuliano (da non confondere col bandito Salvatore, anche lui vittima di mafia ma per altre ragioni) ai Giudici Falcone e Borsellino, dal giornalista Mauro de Mauro al giudice Livatino, passando per un altro pezzo da novanta, un tale Carlo Alberto Dalla Chiesa.
E tanti, tanti altri non li cito, ma meriterebbero non parole, libri interi.
Ma Alfano? Ci ricordiamo misure radicali contro la mafia e/o la criminalità organizzata in genere? Possiamo citare iniziative degne di nota e memoria contro il traffico dei barconi, che certamente ha un interessante risvolto anche tra le mille pieghe dei tentacoli della Piovra? Ha forse inasprito il regime carcerario per le cariatidi che svernano nei nostri istituti di pena (ogni citazione a Riina e Provenzano non è propriamente casuale)? O peggio, ha rotto le uova nel paniere al bisinìs della droga, da sempre caposaldo del bilancio familiare di Cosa Nostra? Ha combattuto l’edilizia abusiva?
Ci fosse anche un solo sì, allora, forse, magari.
Ma proprio no. Abbiamo un ministro dell’Interno innocuo, un effetto placebo della politica. E’ un coniglio bagnato della politica. Di nuovo, non si adombri il ministro. Un tale Giovanni Agnelli (mica cotica) chiamava così il suo gioiello, un tale Roberto Baggio (arimica cotica). Ma i conigli bagnati non li uccidi mica. Specie “come Kennedy”. Al massimo te li metti sotto braccio e li accarezzi, perchè ti fanno tenerezza.
E poi diciamocelo: ma dove lo trovi un ministro che, tra sbarchi di clandestini, attentati dell’Isis, un mondo che va a puttane, passerà alla storia per aver giusto twittato che era stato finalmente arrestato l’omicida di Yara Gambirasio (e dei tre gradi di giudizio chi se ne impipa? Tanto lui è mica avvocato per niente)?
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