Alì babà diverte la Scala

Alì babà è stata l’ultima opera del settantenne Luigi Cherubini, che la compose nel 1833, dopo un lungo periodo di silenzio. Andata in scena all’ Académie de Musique – come si chiamava allora l’Opéra di Parigi – il 22 luglio, inaugurazione della stagione, ebbe un’accoglienza di stima per la venerazione di cui godeva il compositore, ma in realtà fu un solenne naufragio.
Alì Babà, la storia
Nonostante un cast stellare e una messinscena altrettanto lussuosa, l’accoglienza fu poco meno che disastrosa; la si può sintetizzare nel caustico commento (anche se un po’ di parte) sibilato alla fine del I atto da Hector Berlioz: “venti franchi per un’idea!” raddoppiando il prezzo dopo ogni finale atto…
Di opposto parere fu invece il super conservatore, grande ammiratore di Cherubini, Felix Mendelssohn per le troppe diavolerie moderne introdotte in partitura, rimproverandogli di aver adottato lo stile imperante dei compositori del tempo. Del paro scarsamente apprezzata dalla critica fu la ripresa scaligera del 1963; gli strali erano indirizzati soprattutto alla debolezza drammaturgica e all’inconsistenza del libretto, ma anche alla musica.
Chi si aspettava un lavoro del livello di Medea andò deluso.
L’evoluzione
Il libretto originale francese, tratto dalle “Mille e una notte”, fu scritto da Scribe e Mélesville, ma per l’edizione milanese si fece ricorso a una nuova versione ritmica, curata da Vito Frazzi, curiosamente non rimata. Oggi, più sereni nel giudizio e più indulgenti nel considerare le riesumazioni, andiamo a teatro con occhio più attento e orecchi meno pigri, non chiedendo solamente di essere intrattenuti (o magari psicologizzati), non prestando solo attenzione, ma anche una conoscenza di fondo.
La rappresentazione alla Scala
Il Teatro alla Scala, nel Progetto Accademia, ha allestito quest’anno Alì babà di Cherubini, un gradevole spettacolo firmato da Liliana Cavani, con scene simil moderne (Leila Fteja) immerse in un orientalismo di maniera e bei costumi (Irene Monti). Deprecabile l’utilizzo dell’ouverture per siparietti prevedibili, che denunciano sfiducia nella potere della musica di sostenersi da sola.
Doppia la compagnia di canto che ha dato vita a ben dieci rappresentazioni dell’opera, e in cui tutti gli interpreti mostravano grande impegno e partecipazione. Nell’ultima recita Nadir era affidato a Riccardo della Sciucca, generoso, anche se butta là la voce, mentre Delia era Francesca Manzo, dal timbro un po’ asprigno pur diligente interprete.
Bravi nel duetto d’amore, una delle pagine più interessanti della partitura, anche se i timbri non si amalgamano. Paolo Ingrasciotta era un corretto Alì Babà, Alice Quintavalla prestava a Morgiane una voce un po’ ingolata disseminata di poitrinè, ma vivacissima interprete.
Aboul – Hassanera il generoso Eugenio di Lieto mentre Thamarera il mediocre (problemi di intonazione) Lasha Sesitashvili; discreto il Calaf di Chuan Wang. Coro e Orchestra dell’Accademia molto partecipi, sotto la scattante guida di Paolo Carignani, che stacca frizzanti tempi rapidi, sostenendo sempre l’azione. Piacevolissime le coreografie di Emanuela Tagliavia, esaltate dal travolgente entusiasmo e dalla freschezza dei giovani Allievi della Scuola di Ballo dell’Accademia; considerando che il secondo atto è quasi incentrato sulle danze, si comprende l’apporto dato alla brillante resa dello spettacolo. Accoglienza festosa. Recita del 27 settembre.
Latest posts by GianFranco Previtali Rosti (see all)
- Hoffenbach alla Scala di Milano, tra sfrenatezza e malinconia - 24 Marzo 2023
- Ferrara celebra Vivaldi - 20 Marzo 2023
- Gioie e dolori nella vita di Boheme - 16 Marzo 2023
Irene Antonucci, il nuovo sorriso della tv italiana
Sylvie Lubamba, solidarietà a Salvini
Risotto al burro e timo con tartufo bianco
Cambiare la nostra idea di cambiamento