Andrea Chénier, amico della Patria

Andrea Chénier, il melodramma più conosciuto di Umberto Giordano, ha inaugurato la Stagione 2017/18 del Teatro alla Scala. Opera popolarissima un tempo, ebbe la sua prima rappresentazione proprio alla Scala: per l’occasione Treccani, in collaborazione con il Teatro milanese offre, assieme al programma di sala, la ristampa in facsimile del libretto della prima assoluta del 28 marzo 1896. Sul podio c’era il direttore Rodolfo Ferrari, interprete principale il tenore Giuseppe Borgatti, chiamato a sostituire Alfonso Garulli, titolare designato.
Fu proprio grazie a lui (pur non vocalmente nel periodo migliore), al soprano Evelina Carrera nei panni di Maddalena di Coigny e al baritono Mario Sammarco quale Gerard, il successo fu entusiastico. Da qui iniziò il tour trionfale dell’opera di Giordano, che conquistò velocemente notorietà internazionale e una stabile presenza nei cartelloni dei maggiori teatri d’opera. Dal Teatro alla Scala mancava dalla metà degli anni ottanta, quando sul podio c’era lo stesso direttore odierno, Riccardo Chailly. Passate le tensioni che ogni S. Ambrogio scaligero che si rispetti porta con sé, siamo tornati a riascoltare l’opera con tutta la tranquillità di una delle repliche, sempre intitolate al ricordo del grande direttore Victor de Sabata, nel cinquantenario della scomparsa.
La nuova produzione di Andrea Chénier era affidata al regista Mario Martone e alla scenografa Margherita Palli, che continuano l’approfondimento sul palcoscenico del Piermarini del periodo verista. Propongono uno spettacolo che è un lineare e vibrante affresco storico, con la messa in sbalzo di intensi tableau vivants. Il ricorso a un impianto rotante serve inoltre bene l’intenzione del Maestro Chailly di fare di Andrea Chénier un unicum, in cui il concatenamento delle forme musicali e il fluire continuo della parola non trovi interruzioni o cesure. A sostenere il ruolo del protagonista è stato chiamato Yusif Eyvazov, un tenore dal timbro lirico, di volume e spessore limitato, una voce che fatica ad espandersi completamente. Si percepisce un grande lavoro compiuto sul fraseggio, mai superficiale, anche se manca l’ampiezza e l’ampollosità declamatoria associate al personaggio. Risulta così più credibile nei passi spiccatamente lirici e passionali (Un dì all’azzurro spazio, il duetto d’amore finale ) che in quelli drammatici (Fui soldato), dove gli difetta un tagliente metallo vocale.
Limitata la recitazione, troppo intento com’è a guardare in continuazione il Direttore, anziché la sua innamorata Maddalena, Anna Netrebko. Giunta alla sua terza inaugurazione scaligera, il soprano russo fa valere anche in questa occasione il carisma scenico di cui è dotata e l’ha portata a così grande notorietà. Tutto sembra venirle spontaneo, così come gli accenti più adatti nelle diverse situazioni per sfociare nell’aria La mamma morta, il momento più intenso di partecipazione e con giusta enfasi. L’ampiezza del suo organo vocale però, finisce inevitabilmente per “coprire” quello del marito nei brucianti duetti d’amore. Il baritono Luca Salsi delinea un Carlo Gérard un po’ troppo vilain, cantando costantemente sul mezzo forte e con accenti da scuola verista senza averne lo strumento. Si sforza di essere passionale nel duetto con Maddalena ma il suo Nemico della patria è perorato solo in superficie, espresso con pochi colori. Molto buona la Madelon di Judit Kutasi, voce ampia e partecipe nell’interpretazione. Ottimo l’Incredibile di Carlo Bosi, voce leggera e penetrante che corre ovunque, sottile e variato nel fraseggio. Una Bersi fresca e giovanile, quella delineata dalla sempre puntuale Annalisa Stroppa. Bene anche il Roucher di Gabriele Sagona, che si fa valere nel duetto con Chénier; godibile il Mathieu di Francesco Verna, anche se con acuti un po’ ingolati, mentre pessima la Contessa di Mariana Pentcheva, che tende a scurire artificialmente i suoni gravi e dalla recitazione stereotipata. Accettabili gli altri. Resta infine da sottolineare l’artefice della serata, il Direttore Chailly che con una scintillante e variegata interpretazione della partitura di Giordano, ha messo in giusto valore un melodramma a torto limitato dall’etichetta “verista”. Successo per tutti. Recita del 22 dicembre. In scena fino al 5 gennaio 2018.
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