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Home›Cronaca e Attualità›Brescia, bizzarro seminario per “curare” l’omosessualità: “Quel peccato fa star male Dio”

Brescia, bizzarro seminario per “curare” l’omosessualità: “Quel peccato fa star male Dio”

By Mirko Lauriola
4 Giugno 2015
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Matteo Pucciarelli, giornalista del quotidiano La Repubblica, dissimula la propria identità, modifica sapientemente la propria immagine attraverso Photoshop (in modo da non essere identificabile dai controlli dell’associazione omofoba), compila un questionario (“Descrivi il tuo problema dal punto di vista sessuale o emozionale”; “Come si manifesta il problema?”; “Hai già ricevuto una consulenza psicologica in merito? “) e diventa “Matteo Sacchetti”. Passa la selezione e partecipa al seminario organizzato da Luca di Tolve, protagonista della discutibile canzone di Povia del Sanremo 2009 “Luca era gay”, per “redimere”, “convertire” e “curare” l’omosessualità. Tutto al prezzo di 185 euro, con la possibilità di consultare volumi, riviste e dvd della biblioteca messa a disposizione dal gruppo Lot.

Al centro di spiritualità Sant’Obizio, in mezzo alle montagne e a un passo dalle terme di Boario, il gruppo Lot (dal nome dell’uomo che scappò da Sodoma e Gomorra prima che venissero distrutte con fuoco e fiamme da Yahwè) si propone di guarire da questa “ferita” che –  dicono –  è l’essere gay. Gli organizzatori – tre persone, tutti sedicenti ex gay redenti dall'”aberrazione” dell’omosessulità -, del percorso di “riabilitazione” si fanno chiamare “leader” e vengono affiancati da un frate francescano (don Enrico, capelli corti e barba da mullah, neanche 40 anni) e da un padre passionista (don Massimo, tonaca nera e una croce dentro al cuore come simbolo, esperto in esorcismo).

L’inchiesta-indagine dell’inviato de La Repubblica dipinge una grottesca atmosfera mistico-esoterica scandita da pratiche penitenziali e di automortificazione atte alla purificazione dello spirito e al ricongiungimento con Dio. Pare che l’omosessualità e l’omoaffettività offenda l’Onnipotente. Questo si deduce dai severi ammonimenti dei “leader”.

Si inizia il venerdì e si finisce il martedì. Cinque giorni di messe, canti, preghiere, invocazioni dello spirito santo, confessioni, meditazioni con la luce spenta e soprattutto slide e lezioni dai titoli fantasiosi, tipo “I meccanismi della confusione sessuale”, “Narcisismo e idolatria relazionale”

“La casa di spiritualità – si legge sul quotidiano La Repubblica – è una specie di convento gestito da Di Tolve insieme alla moglie, di proprietà della Congregazione Sacra Famiglia di Nazareth. È pensata soprattutto per incontri di gruppo, ogni mese c’è un seminario di “guarigione e liberazione interiore”.

Gli ospiti sono una decina: c’è chi è arrivato da Palermo, chi da Bologna, chi da Milano. Un idraulico, un imprenditore, un avvocato. Una sentinella in piedi, un ex protestante, una ex estremista di destra. Tutti spinti dalle medesime intenzioni: quelle pulsioni, quell’istinto, da estirpare in un qualche modo.

“I primi due giorni saranno durissimi  –  premette Sandro (il nome è di fantasia, in famiglia non sanno del suo passato) – ma vedrete che poi starete meglio. Lasciatevi andare, lasciatevi aiutare dal Signore”.

Le regole del corso evocano l’opacità e la disciplina delle sette religiose: essere puntuali agli appuntamenti, non giudicare gli altri corsisti, non parlare all’esterno di ciò che qui si è detto, o almeno, non riferire le esperienze altrui. Il programma è serrato e si parte ogni mattina con la messa alle 7.45 (e solo dopo la colazione), mentre l’ultimo insegnamento finisce alle 22.30. Si pranza e si cena tutti insieme e almeno lì l’atmosfera sembra rilassata. Si gioca tutto sulla ripetitività: nello scaglionamento delle giornate, nelle canzoni, nei riti, soprattutto nel messaggio in sé.

Gli insegnamenti sono tutti finalizzati ad attivare un processo di autodenigrazione e autoumiliazione, il quale deve spingere il partecipante al riconoscimento di essere dominato da una laida perversione: “L’omosessualità non esiste e voi non siete gay, siete solo persone che hanno un problema”; “I bisogni insoddisfatti causano il danneggiamento della sessualità e della sfera relazionale “. “Quel peccato (“un abominio “) fa star male Dio, bisogna sfidarlo ed essere coraggiosi”. Un mix di integralismo cattolico, ossessioni sessuofobiche e psicologia spicciola e bizzarra: Senti di essere gay? “ferite della madre”, “magari quando sei nato sei stato lasciato in incubatrice, quindi hai perso l’affetto iniziale della mamma, e in quel dolore inconscio è germogliata l’omosessualità”. In questo delirio non poteva mancare il riferimento all’autorità della figura paterna: “l’aver provato rancore nei suoi confronti, perché si cerca in altre figure maschili quell’antico sentimento non corrisposto”. In questa lugubre e inquietante rappresentazione è ineludibile l’allusione a Satana,”al dominio delle tenebre”. Il mondo dei media, ad esempio, “è chiaramente in mano al Diavolo”. Gli strumenti di comunicazione, si apprende, sono nelle mani delle potentissime lobby gay che attentano alla famiglia tradizionale e naturale. Fertile e incorrotta .  ” Sì, sì… no… mo’ me lo segno…”.

Terapie riparative. L’Alliance for Therapeutic Choice and Scientific Integrity (alleanza per la scelta terapeutica e l’integrità scientifica), in precedenza conosciuta come Narth (National Association for Research & Therapy of Homosexuality, associazione nazionale per la ricerca e la cura dell’omosessualità), è un’associazione dedicata a chi fa esperienza di indesiderate attrazioni omosessuali. A capo dell’associazione, contro cui si sono schierate più volte le comunità di psicologi americane ed internazionali che ne hanno giudicato le terapie inefficaci se non dannose, c’è Joseph Nicolosi, psicologo statunitense. Nella sostanza, fra le pratiche per la riparazione annoveriamo: preghiera, psicoterapia, iniziazione alla mascolinità,  psicanalisi, terapie cognitivo comportamentali, esorcismi. Il messaggio è: si può espiare l’abominio. Le “teorie riparative” sono totalmente destituite di fondamento clinico e scientifico.

Nel 1974 l’omosessualità viene cancellata dal Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali (DSM) pubblicato dall’American Psychiatric Association (APA). Nella prima versione del 1952 risultava ancora una condizione psicopatologica tra i “Disturbi sociopatici di Personalità”. Nel 1968 era considerata una deviazione sessuale, come la pedofilia, catalogata tra i “Disturbi Mentali non Psicotici”. E ancora nel 1974 sui testi scientifici si parlava di ”omosessualità egodistonica”, (cioè, spiega il Prof. Vittorio Lingiardi, Direttore II Scuola di Specializzazione in Psicologia Clinica, presso l’Università Sapienza di Roma, “il disagio marcato e persistente riguardo al proprio orientamento omosessuale”)

Questa teoria verrà superata nel 1987 per arrivare poi appunto al 17 Maggio 1990 (Oggi quella data viene ricordata celebrando la “giornata mondiale contro l’omofobia” denominata: Idaho, International Day Against Homophobia), quando anche l’Organizzazione Mondiale della Salute (OMS) decide di espungere l’omosessualità dall’elenco delle malattie mentali.

L’Ordine nazione degli psicologi prende una posizione netta e inequivocabile. In un comunicato ufficiale del 19 Luglio 2011 si legge:

“Nel rapporto tra omosessualità e psicologia il Presidente ribadisce che l’omosessualità non è una malattia da curare, né un orientamento sessuale da modificare: affermare il contrario è una informazione scientificamente priva di fondamento e foriera di un pericoloso sostegno al pregiudizio sociale. L’omosessualità non è una malattia ma, citando l’Organizzazione Mondiale della Sanità, una “variante naturale del comportamento umano”; è peraltro ampiamente dimostrato che i tentativi di “conversione” dell’omosessualità in eterosessualità non solo falliscono, ma anche segnano, e spesso gravemente, le condizioni psichiche di chi vi si sottopone.
Perché “curare” ciò che non è malato? Su questi punti, il consenso della comunità scientifica italiana e internazionale è assoluto. Lo psicologo non deroga mai ai principi del Codice Deontologico, nessuna ragione né di natura culturale né di natura religiosa, di classe o economica può spingere uno psicologo a comportamenti o ad interventi professionali non conformi a tali principi.
E’ evidente quindi che lo psicologo non può prestarsi ad alcuna “terapia riparativa” dell’orientamento sessuale di una persona, quanto piuttosto lavorare insieme al proprio cliente per superare eventuali disagi connessi al proprio orientamento sessuale”. Qualcuno giri questo comunicato agli organizzatori del seminario.
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