Cuore: interventi chirurgici sempre più sofisticati

Negli ultimi 5 anni diminuiscono (-10%) gli interventi cardiochirurgici, cresce però la complessità a causa di pazienti più anziani e con più patologie associate – Si riduce la mortalità a 30 giorni per gli interventi di sostituzione valvolare cardiaca: dal 3,5 del 2008 al 2,4% del 2014; stabile al 2,4% il dato per il bypass aortocoronarico.
Presentata in anteprima, in occasione del 28° congresso nazionale SICCH-Società italiana di chirurgia cardiaca, Inspiris Resilia, capostipite di una nuova classe di protesi valvolari cardiache biologiche ‘resilienti’; si aggiunge, e costituisce un’importante novità nell’ambito delle protesi valvolari, a quelle in tessuto animale, comunemente impiegate
E’ il 21 settembre 1960: il cardiochirurgo americano Albert Starr impianta la prima protesi di valvola cardiaca, sviluppata insieme all’ingegnere idraulico Miles Lowell Edwards. Si tratta di una valvola meccanica, che assomiglia a una gabbietta per tappo da champagne. Trascorrono poco più di 7 anni. Il 3 dicembre 1967 l’equipe di Christiaan Barnard, a Città del Capo, esegue il primo trapianto di cuore umano al mondo.
Sembra passata una vita, ma sono trascorsi meno di cinquant’anni. Da allora molta strada è stata percorsa da una disciplina che può essere considerata un paradigma dell’innovazione scientifica e tecnologica in medicina. Siamo, infatti, passati dall’introduzione della circolazione extra-corporea, e quindi dell’intervento ‘a cuore aperto’, a fine anni ‘50, all’avvento e al consolidamento, oggi, delle procedure minimamente invasive, delle protesi valvolari sutureless a impianto rapido, dei VAD (dispositivi di assistenza ventricolare, costituiti da pompe meccaniche che aiutano il cuore nell’attesa di un trapianto), del cuore artificiale.
“Contemporaneamente si assiste a un ulteriore cambiamento epocale, legato all’evoluzione dei trattamenti medici, al miglioramento dello stile di vita, allo sviluppo della cardiologia interventistica e delle procedure percutanee: all’inizio degli anni 2000, in Italia, si effettuavano circa 70mila angioplastiche coronariche, oggi sono 146mila, con un raddoppio di interventi in 15 anni. Tra le opzioni di cura per le malattie cardiache si sono affermate tecniche interventistiche che prima non esistevano, come ad esempio l’impianto di valvola aortica per via transcatetere, la TAVI, nata nel 2002 e arrivata in Italia nel 2007: nel 2015, nel nostro Paese, sono stati trattati con questa metodica circa 3.500 pazienti”, spiega Francesco Musumeci, Direttore Cardiochirurgia e Trapianti di Cuore dell’AO San Camillo Forlanini di Roma e presidente eletto SICCH. “Come conseguenza, il fabbisogno di interventi cardiochirurgici è diminuito sul territorio nazionale: oggi se ne effettuano circa 50.000 l’anno, con una riduzione di circa il 10% rispetto a quanto avveniva 5-6 anni fa”, aggiunge.
Un altro aspetto fondamentale è il profondo cambiamento del profilo clinico dei pazienti che vengono sottoposti ad intervento. Grazie al miglioramento delle tecniche e delle tecnologie, e al progressivo aumento dell’aspettativa di vita, chi va incontro alla cardiochirurgia oggi è più anziano, presenta un numero maggiore di comorbidità di tipo medico e problemi cardiaci più articolati: si assiste, quindi, a un sensibile incremento di interventi combinati, di maggiore complessità, come ad esempio la sostituzione valvolare più il bypass coronarico.
Positivi sono i risultati clinici. Secondo i dati rilevati dal Programma nazionale esiti di Agenas, l’agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali, la mortalità a 30 giorni per gli interventi di valvuloplastica o sostituzione di valvole cardiache è in continua diminuzione, dal 3,5% del 2008 al 2,9% del 2014; è stabile, intorno al 2,4%, la mortalità a 30 giorni per interventi di bypass aortocoronarico. “Tutto questo è indubbiamente reso possibile dal progresso scientifico, dalla messa a punto di nuove tecniche d’intervento, dalla disponibilità di tecnologie ultramoderne e di nuovi materiali”, prosegue Musumeci.
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