Darkness, ovvero come incendiare l’Alcatraz!

Data conclusiva della tranche italiana, quella di domenica 24 gennaio per i Darkness del carismatico Justin Hawkins, con il loro Blast of our kind tour, in supporto del loro ultimo lavoro “The Last of our Kind” uscito nel 2015. I Darkness escono da assoluti vincitori in queste 3 date italiane, band di assoluto rodaggio, l’aggiunta del nuova batterista Rufus Taylor (figlio di Roger Taylor dei Queen) da nuova linfa al trio ormai più che consolidato e la voce di Justin è qualcosa di magnifico, stupefacente.
Disagi fuori dallo storico Alcatraz di Milano, per i controlli post Bataclan con cui dovremmo convivere per molto tempo, il concerto slitta di una mezzoretta per far si che la gente entri nel locale. Alle 21.40 i Darkness prendono possesso del palco con “Barbarian”, prima traccia del loro ultimo lavoro, accolta un po’ freddamente dal pubblico, come la voce di Justin che ha bisogno di qualche canzone per scaldarsi a dovere. Il frontman poi si scusa con il pubblico sfoderando il suo tipico english humor, cosa che lo porterà varie volte durante il concerto a interagire con la gente, sempre prendendo tutto e tutti per i fondelli. Scaletta bilanciata a dovere, con i classici del loro primo e fortunato album “Permission to Land” del 2003, “Growing on Me”, “Black Shuck” e “Mudslide” tratta dal loro ultimo lavoro, funzionano come assestamento per la potente voce di Justin, mentre il fratello chitarrista è il fidato bassista non fanno altro che pestare a dovere. Con “Givin’ up” il cantante prende le redini della serata, addossandosi tutto il peso del concerto con la sua magnifica presenza e persuasiva voce. Via via arrivano i grandi loro classici “One way ticket”, “Love is only a Feeling” e “Friday Night” che per chi non li avesse mai visti, fa intendere di che pasta sia fatta la band, rock senza fronzoli, ballad sentimentali e ululati altissimi che portano il concerto ad un buon livello di casino.
Assolutamente animale da palco Justin Hawkins, che tra una canzone e l’altra da una mano ai roadie per portare un pianoforte sul palco per l’esecuzione di “English County Garden” incendiando così l’Alcatraz, lascia spazio anche per i pezzi di “Permission to Land” con, “Get Your Hands Off My Woman”, “Stuck in a Rut” e “I Believe in a Thing Called Love”, dimostrando l’ottimo stato di forma della band, primo su tutti il batterista Rufus Taylor che picchia come un forsennato. C’è spazio poi per l’inedito “Rock of Glam” e poi il singolo di debutto del loro ultimo lavoro, “Open Fire” vera perla rock. Il pubblico è ufficialmente ai piedi della band brittanica. Arriva la sfuriata finale con “Street Spirit” (Fade Out cover Radiohead) ad dir poco devastante, e chiusura con “Love on the Rocks With No Ice” con Justin sulle spalle del roadie in un assolo sfrenato di chitarra in giro per l’Alcatraz, ma purtroppo con scarsi risultati visto l’inghippo di qualche ricevitore wireless della sua Les Paul, ma a dagli man forte sono il fratello chitarrista ed il bassista in un continuo scambio di assoli.
Quasi due ore di buon rock‘n‘roll o glam rock, con un’inaspettata grandiosa risposta del pubblico italiano; nel 2006 in supporto del loro secondo album (One Way Ticket…) al Filaforum non c’era stata molta gente, ma probabilmente quella era un’altra vita per loro. Sentendoli questa volta, l’unica pecca che si evidenzia e che gli manca quel pezzo che possa fare per loro veramente la differenza. Tecnicamente non si discutono, la voce di Hawkins è più unica che rara, ma manca quella cosa che li distinguerebbe da tutti, slegandosi un po’ dalla voce del loro frontman. Croce e delizia.
Fabio Sagonti
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