Don Pasquale: capolavoro di Donizetti

Un nuovo allestimento del donizettiano Don Pasquale, ha aperto il nuovo corso che il vulcanico Francesco Micheli, neo Direttore Artistico, ha impresso al cartellone d’opera del Teatro bergamasco. Una coproduzione dei Teatri di OperaLombardia e la Fondazione Pergolesi Spontini di Jesi; regia di Andrea Cigni (che nelle produzioni del Circuito lombardo ha firmato diversi spettacoli importanti), scene e costumi di Lorenzo Cutùli. Coro di OperaLombardia e Orchestra I pomeriggi Musicali diretta da Christopher Franklin. Don Pasquale fu composto velocemente (dieci, undici giorni per approntare la partitura vocale destinata ai cantanti, che potevano cominciare ad imparare la loro parte), e a chi rimprovera al grande maestro bergamasco la proverbiale rapidità, Donizetti stesso risponde: Quando un soggetto è piacevole, il cuore parla, la mente galoppa e la mano scrive…” Il risultato è sotto gli occhi, o meglio, nelle orecchie degli ascoltatori a datare dal 3 gennaio del 1843, quando Don Pasquale ricevette una trionfale accoglienza dal pubblico parigino del Théatre des Italiens. Il maestro, componendo quest’opera comica, prende per la verità a prestito alcune melodie da precedenti lavori, ininfluenti nel formulare il giudizio su questo gioiello musicale del teatro ottocentesco, un capolavoro nel suo genere.
Quello dell’Opera buffa, che al tempo della composizione del Don Pasquale era ormai una forma operistica in declino (ne sapeva qualcosa Giuseppe Verdi, che qualche anno prima aveva provato l’amara esperienza del tonfo scaligero con il suo Un giorno di regno), soppiantata nel gusto del pubblico dall’opera semiseria, con lavori quali La Gazza ladra rossiniana e La Sonnambula belliniana. Donizetti prende a prestito un modello comico tipico del teatro italiano ma con una visione comica proiettata su uno sfondo di sentimenti ed emozioni sconosciuto in precedenza. Don Pasquale ha uno spessore maggiore di quei personaggi che sembra ricalcare. Il compositore, con Don Pasquale, crea la prima opera buffa italiana senza recitativi accompagnati dal clavicembalo, ma con l’intera orchestra. Dell’entusiasmo si è già detto; a rimanerne sorpreso fu lo stesso Donizetti, che dopo alcune settimane, in trasferta a Vienna scrive: Ho ricevuto da Parigi otto giornali che parlano ancora del mio Don Pasquale. Sono sorpreso, ed il risultato sono 19.000 franchi in undici giorni. Un mistero della fortuna. Ecco tutto! Ma la fortuna bisogna sapersela meritare… Il regista Andrea Cigni, non trovando sufficientemente buffa la situazione magistralmente versificata dal librettista Giovanni Ruffini, carica lo spettacolo di trovate grossolane che finiscono per svilirne la trama, non rendendo giustizia della complessità di sfumature dell’opera donizettiana. Si ride, ma si ride grasso. Ecco allora il Dottor Malatesta trasformato in una macchietta ancheggiante, Norina in una soubrette che strizza l’occhio alla Monroe ed evoca Berlusconi; Don Pasquale è ridotto a un volgare e untuoso grande avaro.
Si salva solo l’idealista Ernesto. Oppressiva una mega cassaforte da banca centrale incombe sullo spettatore, intervallata da coreografiche altalene/festoni di rose con la trovata finale, della calata della scritta luminosa Roma, dove l’azione si finge. Completa il tutto un’aggiunta di appendici sonore non previste in partitura: tic tac di sveglie, telefonate, ruggiti di orso imbalsamato. Un’orgia di colori e movimenti, perfettamente in linea con i tempi in cui viviamo, dove quel che conta è l’immagine. Dirigeva il Maestro Christopher Franklin, troppo intento ad assecondare lo spettacolo e nel far quadrare i conti tra orchestra e palcoscenico per trovare una personale interpretazione, e si è limitato a compitare la partitura. I cantanti si prestano al gioco registico con più o meno disinvoltura e partecipazione: il Dottor Malatesta di Pablo Ruiz ci sguazza divertito, nel gioco di ammicchi e mossette; vocalmente efficace, piega facilmente il suo timbro baritonale a una sapida e credibile interpretazione.
La voce di Maria Mudryak, omogenea in ogni registro ed estesa in alto, non incontra difficoltà tecniche che la impensieriscano, ma ha il vezzo di “spingere” e ingrossare, negli acuti, una voce già di per sé sonora e penetrante. Il suo timbro di voce, da soubrette (oltre all’impostazione registica), la porta a delineare una Norina quasi a senso unico (piccante e civetta si, ma mai sensuale o amorosa), trovando nel duetto Tornami a dir che m’ami, il momento migliore. Interessante l’Ernesto di Pietro Adaini, giovane tenore leggero (o di grazia) con una tecnica vocale da perfezionare ma capace di trovare inflessioni di pathos, quei tipici accenti malinconici di cui Donizetti infarcisce le sue opere e diventate la sua cifra stilistica. Paolo Bordogna, veterano del ruolo di Don Pasquale (già protagonista nell’edizione di cinque anni fa a Bergamo), comincia ad accusare qualche sfilacciatura vocale. Costretto nell’angusto spazio di un’interpretazione caricata e buffonesca, riesce a emergere facendo valere la sua lunga esperienza. Non entusiasmante la resa dell’Orchestra dei Pomeriggi. Successo caloroso di un teatro quasi gremito in ogni ordine di posti ed elegantemente addobbato, come da tempo non si vedeva.
fotografie Fondazione Donizetti /Gianfranco Rota
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Ottima recensione! E poi il “Don Pasquale”, insieme a “L’Elisir d’amore”, sono le mie opere d Ddonizetti preferite