Esiste ancora la cucina milanese?

L’anima di Milano cambia pelle di continuo, come il corpo di un rettile che si snodi lungo un sentiero accidentato, dalla cui strada raccolga inviti e colori per mimetizzarsi meglio con il territorio circostante. E se è vero che la storia di un luogo viene segnata dalle sue abitudini alimentari, viene difficile dare una forma alla metropoli che è diventata la città lombarda oggi.
Esistono ancora i ristoranti tipici milanesi? E se sì, quanti e dove sono? E quanto fanno pagare la loro pretesa (o pretenziosa) aderenza alle regole della tradizione?
Una prima ‘picconata’ arriva da Luigi Caricato, pugliese da trent’anni a Milano, esperto di cucina e di olio, diventato una celebrità al riguardo oltre che fondatore dell’Olio Officina Food Festival che proprio all’ombra della Madonnina, nel prossimo gennaio, vivrà la sua terza edizione. “Non ho notato una cucina milanese, se non nei soliti luoghi – sottolinea –, dove però non c’è una proiezione al futuro. Credo comunque che la cucina milanese sia da ripensare in chiave moderna, perché ci sono alcune ricette che potrebbero essere riformulate se alcuni chef avessero più coraggio”.
Persi per sempre lungo la strada gli storici ‘trani’ della tradizione pugliese, rimaste in un cantuccio senza troppa gloria le tante trattorie toscane esplose fra gli anni ’60 e ’70 del secolo scorso, gli unici ristoranti milanesi che ancora si riempiono con una certa convinzione sono quelli… pugliesi, forti delle proprie specialità ittiche, grazie anche al rinomato e verificato assunto che a Milano si mangi il più fresco pesce italiano.
Devastata dalle mode della (post) ‘Milanodabere’, sushi e sashimi in testa, dove decine di pseudo imprenditori cinesi, disposti a tutto pur di farsi passare per giapponesi per via dei comuni occhi a mandorla, la città della Madonnina ha svenduto il proprio cuore pulsante per il classico tozzo di pane. Che non è più nemmeno la michetta. Curioso come il pugliese pane di Altamura sia riuscito a farsi un nome in questi ultimi anni in tutto il mondo, grazie alla cura corretta e interessata di una Regione da sempre attenta al proprio comparto enogastronomico, mentre la michetta, più un simbolo o un oggetto di culto per le tante vicende umane e sociali che ne hanno accompagnato l’uso in cucina, sia stata dimenticata, forse per sempre. Basti parlare con un panettiere, per verificarne il drammatico crollo nelle vendute e, di conseguenza, nella produzione.
I nuovi chef, da parte loro, preferiscono misurarsi con realtà di respiro più ampio. La sensazione è che il classico carrello dei bolliti e le storiche zuppe rappresentino ‘roba per vecchi’, con cui non valga più la pena confrontarsi.
Trattoria della Madonnina, Trattoria Sabbioneda, Osteria Albero Fiorito, Al’Less, Trattoria Milanese, Antica Trattoria Ambrosiana e ‘compagnia cantante’, raccolgono sul web giudizi contrastanti. La sensazione è che a volte si confonda la rusticità dell’ambiente con la mancanza della qualità del servizio o addirittura la trasandatezza del luogo, contaminando per sempre quella cura necessaria per rilanciare il prodotto meneghino.
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Il risotto alla milanese e la cotoletta mi sembrano ancora vivi e vegeti….