Eutanasia, è il momento di aprire gli occhi

Dominique Velati aveva 59 anni. A quell’età sei ancora giovane, hai ancora spazio per la progettualità, un sacco di cose da fare, di posti da vedere, di persone da incontrare. Hai vissuto abbastanza per aver imparato le regole di base della vita, generalmente, ma non troppo da esserti stufato di lottare, ridere, incazzarti, sperare. Questo quando puoi decidere le tue giornate, quando il destino non ti prepara un percorso diverso. Dominique aveva 59 anni e un cancro incurabile, era in una di quelle situazioni in cui non hai molta scelta. Puoi fare solo due cose: sognare ed amare. Poco altro, molto poco.
Ha scelto di amare se stessa abbastanza da regalarsi quella che riteneva fosse una fine dignitosa; è morta per scelta il 15 dicembre, a Berna. Eutanasia.
Nelle ultime 24 ore non si parla d’altro. In Italia l’eutanasia è un reato punibile con una pena fino a 15 anni di carcere; ma la realtà dei malati terminali parla di altro: i dati parlano di 70 chiamate a settimana al centralino dell’associazione a supporto di questa scelta. Settanta chiamate significa che 280 persone al mese decidono che non ce la fanno più, che vogliono smettere di soffrire. Non ci soffermeremo sulla scelta di questi malati, ma sull’opposizione di quelle persone sane che pensano di avere il diritto di decidere come altri esseri umani debbano morire. Che si nascondono dietro una legge che – di fatto – impedisce una libera scelta. Eutanasia non significa diritto all’omicidio, non significa liberalizzare l’uso delle armi o dei duelli in corso Buenos Aires. Come per l’aborto, come per l’epidurale: riconosce il diritto del singolo di scegliere per se stesso; di scegliere se soffrire o meno, di scegliere se mettere al mondo un figlio o evitargli una vita da indesiderato, di scegliere se vivere soffrendo un tempo limitato a causa di una malattia terminale o un incidente, o andarsene dolcemente.
Personalmente, sono contraria all’aborto. Fermamente contraria. Se mi fosse mai capitata una gravidanza avrei scelto di portarla a termine e non avrei permesso a nessuno di impormi nulla di diverso, sarà per questo che ho lottato e lotto a favore della libertà di aborto. Non sopporterei che nessuno mi imponesse di interrompere una gravidanza, perché mai dovrei imporre ad un’altra donna di portarla a termine contro la sua volontà?
Per l’eutanasia ho una posizione diametralmente opposta, sono a favore. E non capisco come ci possa essere qualcuno contrario. Mi chiedo ogni volta se queste persone abbiano mai fatto un giro in un reparto di oncologia, per esempio. Se abbiano mai visto una persona che amavano visceralmente spegnersi lentamente a causa di quella malattia maledetta che non siamo ancora riusciti a debellare, il cancro. Lo hanno mai fatto? Lo avete mai fatto? Avete visto i corpi dimagrire fino a diventare incapaci di muoversi autonomamente? La pelle screpolarsi fino a diventare sottile come una carta velina e dolorante come se fosse coperta di spilli? Avete guardato negli occhi vostra madre, vostro padre o vostro figlio quando, incapace di parlare o di muoversi per le piaghe, vi supplicava con lo sguardo di fare qualsiasi cosa per interrompere quel supplizio? Ma soprattutto, vi è mai capitato di passare notti intere a pregare perché il vostro Dio si intenerisse e facesse morire la persona che amavate di più al mondo; condannandovi poi ad una vergogna senza fine per non essere stati abbastanza forti da pregare per una guarigione, di sperare in un miracolo?
Dominique Velati ha scelto di morire e ha lasciato una testimonianza, un appello: “Vorrei che vedendo la mia intervista la gente dicesse ‘parliamone’.” Non abbiamo potuto fare altro che raccogliere questo appello, parlandone. E invitandovi a fare un giro tra i malati terminali prima di dire no, o prima di pensare che una legge dimenticata alla Camera dal 2013 non sia affar vostro.
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