Finalmente una “Fanciulla del West” convincente

Successo alla Scala di Milano per la Fanciulla del West, un’opera per molti aspetti interessante: senza alcun dubbio l’elemento cardine è la musica. L’opera di Puccini è tratta da una pièce di David Belasco, ambientata nel grandioso scenario della California, parla di minatori all’epoca dell’oro, un soggetto pieno di ricordi e passioni nostalgiche. Aspetti molto contrastanti muovono i personaggi, uomini forti e duri , cercatori d’oro, banditi, avventurieri con una vocalità forte e vigorosa con armonie dissonanti, mentre Minnie ha una vocalità più ampia, lirica e spinta all’estremo. Tema dell’opera è quindi la nostalgia e la sofferenza dell’uomo per la lontananza dalla casa, dalla famiglia. ma non per la protagonista Minnie che si trova a suo agio in questo ambiente duro, ne condivide tutti gli aspetti e, grazie alla sua personalità, riuscirà a far trionfare l’amore.
Puccini dimostra con Fanciulla del West di essere un musicista attento a quello che musicalmente avviene in Europa e riesce a dare una nuova idea di opera in cui è l’orchestra a narrare la storia, un poema sinfonico, ottenendo il suo più grande trionfo della carriera, senza purtroppo che il successo si mantenga nel tempo; l’opera non resta in repertorio al pari di Tosca o Bohème, forse proprio per la sua grande complessità di esecuzione musicale, vocale e anche di messa in scena. Fanciulla del West risulta essere un’opera difficile persino per il pubblico dei più tradizionali ammiratori di Puccini, e per questo condannata a un numero di rappresentazioni molto inferiore dalle sue consorelle. La struttura ritmica dell’opera non è semplice accompagnamento del canto, ma narrazione, mentre l’orchestrazione possiede una trasparenza armonica che rimanda a Debussy. Una partitura incredibilmente moderna, che trasmette all’ascoltatore la sensazione di vedere il vecchio West , la California con i suoi cowboy a cavallo. Su questa partitura ricca di sonorità, la scrittura vocale potrebbe sembrare meno interessante rispetto ai capolavori precedenti. Puccini elimina infatti le arie, trattando musicalmente anche i momenti più espressivi in un unicum continuo che li rende di fatto inseparabili ( unica eccezione l’aria Ch’ella mi creda libero e lontano ): in tutti i personaggi prevale il declamato, declinato in mille inflessioni e sfaccettature che ne valorizzano le parti liriche. L’opera ruota attorno a Minnie, personaggio complesso di donna determinata e forte, passionale, spontanea e coraggiosa come nella partita truccata di carte con Rance, ma anche dolce: nell’atto finale riuscirà infatti a convincere tutti a perdonare.
Puccini ne concepisce quindi una vocalità netta e spiccata , corposa , drammatica e dolce al tempo stesso , con forti centri e acuti spinti all’estremo. Minnie è una ragazza per bene dai grandi principi, dedita a insegnare ai minatori questi valori; si innamora però di Dick Johnson, in realtà un bandito arrivato alla Polka per rapinare. L’amore per Dick poterà Minnie a ingannare Rance, pur di salvare l’uomo della sua vita. Dick è il cattivo della storia, ma la sua vita tormentata e il vero amore per Minnie lo faranno desistere dalla sua condotta, mentre Jack Rance è lo sceriffo follemente innamorato di Minnie. Nonostante la sua rudezza è in sostanza un uomo onesto, e come per tutti i minatori, la sua durezza è solo la maschera della paura che Dick possa portare via per sempre Minnie . Rance e i minatori saranno privati di una presenza per loro fondamentale: amano Minnie ma non possono averla e, con grande tristezza, devono lasciarla andare. Minnie era interpretata dal soprano Barbara Haveman, chiamata all’ultimo momento a sostituire la titolare Eva Maria Westbroker con la quale il Maestro Chailly aveva “costruito” questa versione originale. Il personaggio che delinea risulta convincente, anche se in scena è più preoccupata della parte musicale, con una continua attenzione verso il direttore, che la sostiene ad ogni attacco. Pur non possedendo una forte vocalità in zona medio bassa , mantiene un’ uniformità di colore dai centri fino agli acuti, pur spinti, ma mai forzati; anche nel momento più drammatico del II atto con Rance, dove il rischio di una caduta di stile è possibile, la Haveman mantiene una buona padronanza vocale e scenica. Molto appassionato e lirico il duetto con Dick quando spiega di non aver dato ancora il suo primo bacio: qui la voce risulta più libera e morbida, così come più ricca la varietà di colori. Il tenore Dick Johnson era impersonato da Roberto Aronica, unico personaggio a cui Puccini dedica una vera aria “ch’ella mi creda libero e lontano” , risulta sempre attento musicalmente mostrando una buona tecnica vocale; purtroppo il timbro risulta disuguale e povera la tavolozza timbrica, sia nei momenti drammatici sia appassionati , e nel momento più intenso dell’aria non riesce a trasmettere scintille d’ emozione, ragione prima e assoluta per arrivare al cuore del pubblico. Bene nei duetti con Minnie , mostra qualche difficoltà nel II atto nell’aria “una parola sola!“ con qualche asprezza di troppo negli acuti; nel complesso una prova importante, una presenza scenica di rilievo, mai banale o sopra le righe.
Il baritono Claudio Sgura era Dick Rance, che con un’ imponente presenza, delinea uno sceriffo convincente, rude, crudele e geloso, muovendosi in scena con sicurezza e personalità. Buona la sua vocalità, bello il colore vocale, efficace il declamato mai esagerato, risulta magistrale nel secondo atto per intensità vocale, con voce sicura e acuti ben coperti. L’edizione che il Maestro Riccardo Chailly doveva dirigere è come Puccini l’ha scritta: neppure il compositore l’ascoltò nella forma originale, senza i tagli apportati da Toscanini e con le varianti di seguito passate in uso. L’orchestrazione è davvero spettacolare, Chailly cerca nell’orchestra suoni e colori che ci sembra di sentire per la prima volta e mantenendo la stessa tensione per tutta l’opera. Magnifico ancora una volta il coro, qui tutto al maschile, la cui presenza, come per la parte orchestrale è fondamentale. La regia di Robert Carsen è interessante, con un’ambientazione “ esotica “ evita le esagerazioni di immagini pittoresche non scivolando mai nel kitsch. Carsen concepisce Fanciulla del West attraverso l’immagine del film western novecentesco; la musica è già fortemente impregnata di azioni e rimandi al cinema e il regista sfrutta questo elemento per rivelarci le potenzialità di quest’opera grandiosa e spettacolare. Uno spettacolo segnato dallo sfondo che meglio rappresenta nell’ immaginario comune il mondo dei cowboy “la monumet Valley “. L’opera termina con l’addio di Minnie e Dick: sullo sfondo un cinema con il titolo “The Girl of Golden West “. Ai minatori, privati dell’ unica gioia, l’amata Minnie, non resta che rientrare nel loro mondo fatto di solitudine e nostalgia. Caloroso successo. Applausi per tutti: protagonisti,coro e orchestra; una vera ovazione ha accolto Riccardo Chailly.
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