Gioie e dolori nella vita di Boheme

Il Teatro alla Scala ricorda il centenario della nascita di Franco Zeffirelli riallestendo il fortunatissimo allestimento, andato in scena per la prima volta nel 1963; oltre alla regia (ripresa da Marco Gandini), firmava anche le scene, i costumi sono di Piero Tosi.
Uno spettacolo che suscita incanto e meraviglia: il fascino della messinscena più ripresa nella storia del Teatro milanese è rimasto pressoché immutato, suscitando ancora emozioni a ogni ripresa; se un po’ polverosa risulta ormai la soffitta bohémien, non così i quadri centrali del Quartiere latino e alla Barriera d’Enfer, d’effetto e capaci di suscitare incanto e poetica meraviglia.
Ogni volta è una festa, ogni volta si sprigiona una magia che lascia stupiti gli spettatori: affetto testimoniato dall’assalto al botteghino e dall’esaurito per tutte le recite. Per molti appassionati d’opera, La Bohème è il più coinvolgente tra gli spartiti pucciniani e si comprendono tanto amore e l’incondizionata ammirazione: il compositore lucchese combina in maniera calibrata il lato gioioso e patetico del vivere umano, travasandoli nella rappresentazione della vita di alcuni giovani del Quartiere Latino a Parigi.
Il libretto, genialmente architettato da Giuseppe Giacosa e Luigi Illica, utilizzando l’impianto di Scènes de la vie de Bohème di Murger, rivela pregevole versificazione e un’illuminata sceneggiatura, che hanno sicuramente contribuito al successo della partitura. I librettisti si mantennero fedeli ai caratteri dell’originale francese, scrupolosi nel rendere i particolari dell’ambiente parigino attorno al 1830, salvo procedere “negli episodi drammatici e comici con quell’ampia libertà che stimarono necessaria all’interpretazione scenica.
Alla composizione di La Bohème lavorarono in contemporanea sia Leoncavallo sia Puccini: entrambi continuarono a comporre, sembrando naturale che due giovani musicisti lavorassero allo stesso soggetto. Ne scapitò la loro amicizia, che si raffreddò. La foga compositiva di Puccini vinse: il 1° febbraio 1896, andava in scena al Teatro Regio di Torino la sua Bohème, direttore Arturo Toscanini. L’accoglienza fu calda ma non paragonabile a quella di Manon Lescaut tre anni prima; la versione di Leoncavallo andò in scena a Venezia quindici mesi dopo, con un successo trionfale. Era la fine definitiva di una grande amicizia.
L’opera pucciniana assurse col tempo a mondiale notorietà, mentre il lavoro di Leoncavallo è scivolato nell’oblio. L’interesse per questa ripresa stava nella direzione d’orchestra di Eun Sun Kim, direttrice musicale dell’Opera di San Francisco, rivelatasi efficace e attenta alle esigenze del palcoscenico e ai ritmi del dramma. Direzione sicura e piena di vivacità, presenza dinamica che illumina la partitura con chiarezza e forza espressiva. Colorita concertazione, che pur non brillando per scandaglio e raffinatezza di dettagli, si lascia apprezzare per la funzionalità con cui il direttore campita lo spazio con pennellate sonore .
Nella compagnia di canto la presenza di Marina Rebeka, nuova Mimì, si segnala per un buon timbro, ottava superiore ampia (anche se tende a spingere negli acuti), elegante e sempre appropriata in scena; vocalmente sicura tende a risolvere il personaggio nella correttezza della linea di canto, senza raggiungere l’intimo abbandono alle passioni, restandone in superficie.
Freddie De Tommaso torna alla Scala dopo l’unica recita in Adriana Lecouvreur nelle scorse stagioni, offre a Rodolfo un accattivante timbro tenorile caldo e suadente, con acuti sicuri e squillanti. L’interprete è però generico, dal cuore in mano, cui fa difetto un fraseggio approfondito ed espressivo, di credibile partecipazione. Musetta era Irina Lungu, non particolarmente sensuale e brillante, sempre elegante, indulgendo a tratti di sguaiataggine vocale e scenica.
Misurato Marcello il baritono Luca Micheletti, non in perfetta forma vocale. Colline aveva il timbro scuro e intubato di Jongmin Park, discreto fraseggiatore finché la parte resta discorsiva, non trova però un’interpretazione ispirata nell’aria Vecchia zimarra. Corretto Schaunard di Alessio Arduini. A completare il cast Benoit di Andrea Concetti, efficace anche nelle vesti di Alcindoro, funzionali gli altri. Sempre impeccabile il Coro scaligero.
Troppi spezzettamenti e lunghi intervalli per un’opera come La Bohème, che non giovano all’unità di rappresentazione. Accoglienze calorose di un pubblico prevalentemente straniero e turistico, che applaude sulla musica senza lasciar finire gli atti. Al Teatro alla Scala, repliche fino al 26 marzo.
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