Ibra e Lukaku, la caduta degli dei

Chiamateli ‘figli di un dio minore’ o, più semplicemente, figli di una triste globalizzazione calcistica. Zlatan Ibrahimovic e Romelu Lukaku si sono resi protagonisti, nell’ultimo derby milanese di Coppa Italia fra Milan e Inter, di un tristissimo scambio di convenevoli degno di una sfida da campetti di periferia, con annessi insulti stomachevoli, indegni di giocatori profumatamente pagati quali sono loro, improbabili esempi di correttezza nei confronti dei più giovani.
Cattiveria sì, cialtroneria no
Sarebbe forse stato meglio vederli arrivare alle mani che sapere, attraverso il mondo dei ‘social’ (che ormai nulla perdona più alla ‘privacy’), l’entità delle offese che l’un l’altro si sono proferite. Dal “Torna a fare i riti woodoo con tua madre” di ‘Ibra’ al “Mi scopo te e tua moglie” di ‘Lukakone’ sono lo ‘strappeggio’ di un bestiario pseudosportivo cui una città come Milano non è mai stata abituata, nemmeno nei suoi tempi peggiori.
Benetti e Burgnich, Ancelotti e Passarella, Gullit e Matthaeus, Gattuso e Materazzi, oggi Kessie e Barella. Giocatori duri, spesso stranieri, ma tutti ‘tosti’ e ‘cattivi’ in ambito calcistico, senza quella improponibile necessità di sentirsi per forza ‘macho’ e ‘maschio alfa’ a tutti i costi, protagonista di una diatriba al limite del ‘razzismo’.
Ibrahimovic e Lukaku non sono gli unici ad avere origini povere, non sono gli unici ad essere usciti dal ghetto. Sono tanti i giocatori che hanno trovato riscatto grazie allo sport. Pochi di questi hanno saputo diventare campioni. E, fra questi campioni, quasi nessuno ha abusato del proprio ruolo.
Una sceneggiata da punire
Se vedere il proprio ‘conducator’ avere la meglio sull’avversario può essere esaltante, comincia a fare riflettere quando il modo e la maniera utilizzati prevarichino il buon gusto.
Da un punto di vista sportivo, l’auspicio è che a entrambi venga assegnata una multa e una squalifica, o almeno una delle due, perché si ricordino che il calcio, in particolare quello giocato a Milano, è una cosa seria, e non ha bisogno di pagliacci autoproclamatisi ‘re’ o ‘imperatore’ di una città che, in passato, ha saputo prendere a sonore pedate nel deretano nientemeno che Federico Barbarossa prima e il maresciallo Radetzky poi.
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