Il coronavirus è in salotto

E così i 15 giorni sono passati senza regalarci un lieto fine. I contagi continuano, specie in Lombardia. Il numero di morti continua, tristemente, ad essere importante. Eppure si era parlato di 15 giorni. Eppure dovrebbe essere tutto passato, o quasi.
Eppure, tra le pieghe di una comunicazione istituzionale tra le peggiori nella storia della parola, dove si sentono snocciolare dati di ‘miglioramento’ e messaggi simil stupiti del tipo ‘non si comprende perché i cittadini abbiano allentato la presa’, con comunicatori incapaci di comprendere che la presa si allenta ogni volta che un personaggio pubblico parla di miglioramento; tra le pieghe di una comunicazione pericolosamente ottimista i dati restano allarmanti. Anzi, ad essere sincera allarmano ogni giorno di più.
Perché il coronavirus avanza, e noi non capiamo come. Eppure la spiegazione è semplice, e va ricercata nei dettagli.
Bastano i social network, per capire cosa – anzi, come – succeda.
Basta vedere le stories, leggere post e commenti, osservare i comportamenti ‘tra le righe’, per capire come succeda. Perché il coronavirus è evidentemente più intelligente dell’italiano medio, e ha capito benissimo che era inutile sbattersi per cercare luoghi dove proliferare (leggi: esseri umani). Era ora di rilassarsi e mettersi comodo, bastava andare sul divano. Perché oggi il virus viaggia in casa, tra le pareti di quella che dovrebbe essere una tana e invece è un’incubatrice bastarda.
Lo trovi sul divano dell’adolescente che, con la scusa del pane o del cane, si è trovata con il fidanzatino per limonare sulle panchine. Lo trovi nel bagno del ragazzo che, con la scusa della spesa o delle sigarette, è andato ai giardini a chiacchierare con gli amici. Lo trovi in cucina di uno di noi, che quando pensavamo di essere al sicuro abbiamo toccato il bancomat, la pulsantiera dell’ascensore, il carrello senza guanti. Peccato che due minuti prima c’era stato un altro noi, furbo come noi, immune come noi, che il virus ce l’aveva sulle mani. Un attimo di distrazione, quel prurito al naso, e i numeri delle statistiche ritornano ad essere importanti.
Non abbiamo ancora capito che non è un’influenza. Non abbiamo ancora capito che il portatore di virus non ha l’alone rosa della pubblicità contro l’AIDS o la mascherina della Banda Bassotti. Il portatore sano di coronavirus, il cosiddetto ‘asintomatico’, può essere chiunque. Posso essere anche io. Puoi essere anche tu. Anche se sei in casa da un mese, e sei uscito solo per la spesa. Anche se metti sempre la mascherina, ma quando la togli sbagli e ti tocchi naso, bocca, occhi.
Questo virus è più subdolo di una tassa inaspettata, più veloce di uno scippatore in Brera e più intelligente di un tuttologo di Facebook. Non ci vuole molto, dite? Certo, non ci vuole molto nemmeno ad infettarsi, però. Ma noi non l’abbiamo ancora capito.
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