Il giovane Michele Gamba dirige L’elisir d’amore con un grande cast

L’elisir d’amore di Gaetano Donizetti torna alla Scala per dieci rappresentazioni dal 10 settembre al 10 ottobre.
Un cast ideale formato da Rosa Feola, René Barbera in alternanza con Vittorio Grigolo, Ambrogio Maestrie Massimo Cavalletti.
La regia è quella di Grischa Asagaroff con le scene poetiche e aeree di Tullio Pericoli. Dirige Michele Gamba, per la prima volta alla Scala come titolare di una produzione dopo le fortunate sostituzioni di Michele Mariotti ne I due Foscarie di Franz Welser-Möst ne Le nozze di Figaro.
Alla Scala si trovano riuniti lo scenografo Tullio Pericoli e il regista Grischa Asagaroff, cui Alexander Pereira aveva commissionato l’edizione originale dello spettacolo andata in scena all’opera di Zurigo nel 1995 con la direzione di Nello Santi. Le scene del grande pittore e disegnatore sono state poi riprese alla Scala nel 1998 e nel 2001 con la regia di Ugo Chiti.
L’elisir d’amore
Fu nei primi mesi del 1832 che l’impresario Alessandro Lanari, avendo ottenuto in appalto il Teatro della Canobbiana di Milano, chiese a Donizetti di comporre un’opera comica per la stagione in corso.
E fu ancora Lanari a suggerire, dati i tempi stretti, di ricavare il soggetto da un libretto francese già pronto, scritto da Eugène Scribe per un opéra-comique di Daniel Auber: si trattava di Le philtre, che era stato da poco rappresentato a Parigi con successo, e che sarebbe rimasto poi in repertorio nella capitale francese fino al 1862.
Il librettista Felice Romani, ingaggiato per l’occasione, fece opera di traduzione quasi letterale; malgrado ciò, seppe approntare un libretto di ottima fattura, oltrepassando di molto, nel risultato, l’originale. Donizetti compose l’opera velocemente, secondo le sue abitudini: la sera del 12 maggio 1832 L’elisir d’amore approdò alle scene della Canobbiana, con esito eccellente.
Il successo dell’opera stupì lo stesso compositore, che proprio in quegli anni seguiva altre vie. Il pirata di Bellini alla Scala nel 1827 aveva lanciato la voga dei soggetti tragici e delle passioni esasperate, dando voce all’incipiente gusto romantico che a quell’epoca, nell’Italia del Nord, si diffondeva anche tra il pubblico del teatro d’opera. Donizetti, al quale i nuovi soggetti “romantici” erano particolarmente congeniali, aveva suscitato l’entusiasmo del pubblico milanese con Anna Bolena nel 1830, e nel decennio successivo si sarebbe dedicato soprattutto all’opera seria a vocazione tragica.
Il mutamento generale nel gusto e nello stile del linguaggio melodrammatico metteva in crisi il genere comico, sin quasi a causare la scomparsa di una tradizione gloriosa, che attraverso Piccinni, Paisiello, Cimarosa aveva toccato l’apice, in tempi recenti, con Rossini. Il passaggio ai drammi tragici e a fosche tinte, nei quali irrompeva con forza l’elemento passionale, richiedeva la massima coerenza nello sviluppo psicologico dei personaggi: tutto ciò era incompatibile con la sostanziale indifferenza emotiva del tradizionale teatro comico.
L’opera buffa, con la stereotipia dei suoi caratteri e delle sue situazioni, parve di colpo obsoleta e antirealistica, e per questo condannata all’oblio.
L’elisir d’amore e la sfida raccolta
Ma fu proprio L’elisir d’amore a raccogliere la sfida lanciata dall’opera seria, mostrando all’opera buffa la via del rinnovamento e sottraendola alle secche dell’inverosimiglianza. Già Romani nella preparazione del libretto aveva puntato, più che sull’arguzia e sulla civetteria della fonte francese, su personaggi umani, dotati di uno spessore sentimentale autentico.
L’implorazione di Nemorino “Adina, credimi” nel finale primo, la sua romanza “Una furtiva lacrima”, l’aria di Adina “Prendi, per me sei libero” (tutte assenti nel libretto di Scribe) corrispondono a un pathos reale, non a una raffigurazione stilizzata delle emozioni.
Donizetti, in questi luoghi, bilancia l’elemento comico con un sentimento di malinconia penetrante. E la risoluzione del conflitto non è affidata, come nella tradizione comica, all’inganno o a una combinazione fortuita di eventi: bensì a un fattore ben più “umano”, cioè al riconoscimento, da parte di Adina, del valore, dell’onestà e della costanza di Nemorino.
Ai meccanismi tradizionali (ai quali anche Donizetti, sino a quel momento, si era attenuto: le sue opere buffe precedenti seguono il modello rossiniano) L’elisir d’amore sostituisce, grazie all’immissione dell’elemento sentimentale e all’umanizzazione dei personaggi, una personale rielaborazione dello stile comico.
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