Juan Diego Flórez omaggia Donizetti

Con il Concerto di canto, Florez per Donizetti, si chiude il II Festival Donizetti Opera che tante soddisfazioni sta’ dando agli organizzatori. La notorietà del tenore ha richiamato un folto pubblico per quello che era l’unico appuntamento lirico in Italia del cantante peruviano. Una serie di concerti cameristici in questi mesi lo ha portato sui palcoscenici di Vienna Parigi, Berlino, Zurigo Praga Anversa e Colonia. Il programma era, nella prima parte, un omaggio al genius loci, Gaetano Donizetti, mentre nella seconda spaziava dal prediletto Rossini, a Verdi, Puccini e Massenet, brillantemente accompagnato al pianoforte dal maestro Vincenzo Scalera. Juan Diego Flórez , tenore contraltino rivelatosi grazie alla spericolata coloratura che ne ha fatto il cantante rossiniano di riferimento degli ultimi vent’anni, è altresì amato per l’espressività del canto. E, non ultimo, per gli sforzi filantropici a favore di bambini poveri tolti dalla strada, dando vita a tanti piccoli gruppi orchestrali.
La stessa generosità e simpatia l’ha riversata nel concerto impaginato per la serata al Teatro Sociale di Bergamo, una scaletta principalmente di brani operistici; un concerto di canto vecchia maniera fatto per scatenare passioni e attestazioni di stima degli scatenati fans. Donizetti dunque quale incipit, L’amor funesto e Me voglio fa ‘na casa; resa la prima con accento accorato e la seconda con leggerezza e simpatia d’accento. Seguono tre brani operistici: “Ange si pur” (La Favorite), “Tombe degli avi miei” (Lucia di Lammermoor) e “Ed ancor la tremenda porta” (Roberto Devereux). Florez, intelligentemente, sceglie la versione francese dell’aria della Favorita, in cui la lingua francese (più sfumata di quella italiana) valorizza le sue caratteristiche timbriche. Impeccabile e leggera la linea di canto, acuti presi di slancio, sceglie chiaroscuri interpretativi e inflessioni malinconiche che ben si addicono al personaggio. Nel recitativo di Lucia di Lammermoor non trova il vero mordente e fraseggio romantico (che vorrebbe una scansione più imperiosa e appassionata), essendo il suo, fondamentalmente, un timbro stilizzato, più adatto alle astrazioni vocali. Meglio fa nell’aria, dove fa valere le corde di un naturale accento malinconico, virando sempre al “belcanto” stilizzato e puro. Segue Roberto Devereux con un recitativo più partecipe e in Come uno spirto si libra, mascherando meglio le riprese di fiato, per gettarsi con impeto sulla cabaletta, Bagnato ho il sen di lagrime, aggredendo con più veemenza il verso, a dargli consistenza e nerbo. Diluvio di applausi. La seconda parte si apre con “Che ascolto? ohimé!” (Otello) di Gioachino Rossini, il suo nume tutelare. Florez trova nel “belcanto” l’habitat ideale per la sua voce; belcanto, che nel pesarese trova completa la parabola culminante, prima di cedere il campo al romanticismo.
Sempre impressionante la facilità di esecuzione, anche se dopo vent’anni di carriera, la vocalizzazione veloce non è più così sgranata e il legato non più impeccabile. “Pourquoi me réveiller” (Werther), ammaliante per smorzature e chiaroscuri, piani e pianissimi, accenti giusti e strazianti, quasi trattenuti nella sobrietà di un intimo pudore. “Che gelida manina” (La bohème), apprezzabile, ma la limitata tavolozza di colori frena la sfacciata sicumera e baldanza di Rodolfo: il tenore offre un’interpretazione più lirica e meno sensuale, sottolineata dalla bella arcata di suono verso l’acuto. “La mia letizia infondere” (I Lombardi alla prima crociata): latita, ça va sans dire il vero accento verdiano, ma risolve con generosa partecipazione arrivando a una godibile stilizzazione del primo Verdi. “Lunge da lei” (La traviata) generico l’accento, si salva per l’intenzione (anche se un po’ troppo studiata). Meglio fa nella cabaletta, chiusa però da un periclitante do diesis. L’ineducazione del pubblico, che ancor non sa attendere il sopravvenire della cabaletta, spezza inopportunamente l’atmosfera per l’ansia di esprimere al proprio beniamino un affetto esagerato. Parte la girandola di bis. Una furtiva lacrima, dove fa vibrare la corda della commozione: ma è più belcanto che passione emotiva. Dimenticate le vesti ufficiali, Florez si presenta con chitarra e trespolo quasi non vedesse l’ora di rompere la quarta parete, il “muro” immaginario posto fra lui e il pubblico, e abbandonare il tono aulico da opera seria per lanciarsi in amichevole colloquio con il pubblico. Offre “Marechiare” con un grand’impegno di immedesimazione, vira su “CuCuRuCuCu Paloma” e chiude con “Besame mucho”, esibendosi in lunghi fiati tenuti, sorriso a chiostra chiusa, un po’ clawneggiando. Instancabile termina il lungo concerto con i fuochi artificiali dei nove Do della Fille du regiment, (non più radianti come un tempo) e La donna è mobile da Rigoletto. Trionfo.
gF. Previtali Rosti
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