L’apparenza inganna, ma convince. Al Franco Parenti

In questa stagione teatrale, Thomas Bernhard, è decisamente in auge nei cartelloni di prosa italiani: accanto a «Minetti», portato in giro per l’Italia da due grandi vecchi del teatro, torna in circolazione, ma in un nuovo allestimento, L’apparenza inganna che Federico Tiezzi allestì nel 2000. Protagonista, ancora una volta, uno degli attori prediletti del regista, Sandro Lombardi che insieme a Massimo Verdastro apre uno squarcio sulla vita della coppia di fratelli Karl (Lombardi) e Robert (Verdastro).
Raggiunta l’età del pensionamento, i due uomini di natura diametralmente opposta, si ritrovano a giorni fissi alternativamente a casa dell’uno o dell’altro. Il testo, scritto nel 1983 per il grande attore Bernhard Minetti, si regge su una trama sottile fatta di lunghi monologhi e dialoghi che sono più delle riflessioni ad alta voce. Si svelano così i caratteri dei due fratelli: Karl, autoreferenziale e vagamente avaro, attento al dispendio di sentimenti, estremamene colto nelle punte di esagerato amore per Schoenberg e il citatissimo Voltaire. Robert invece, dalla sensibilità lunare, è caratterizzato da un’ipocondria che gli condiziona l’esistenza; attore di teatro che ha conosciuto qualche momento di celebrità all’indomani di un’apprezzata interpretazione del Torquato Tasso di Goethe e con velleità di tornare in palcoscenico per recitare Re Lear. Qualcosa li unisce però: il ricordo di una dolorosa emancipazione da genitori che li avrebbero voluti ingessare in una vita piccolo borghese e, soprattutto Mathilde, un fantasma che aleggia costantemente nelle loro conversazioni. Il ricordo di una donna che è stata allieva e moglie di Karl ma che ha rappresentato una grande importanza anche nella vita di Robert. Tanto da lasciare a quest’ultimo in eredità la casa dei week end, suscitando nel fratello maggiore ferite d’amor proprio e moti di incredulo risentimento. Ma a farla da padrone è la solitudine, che ha ormai imbrigliato le vite dei due protagonisti.
Ne L’apparenza inganna , come già in “Minetti, Thomas Bernhard fa del teatro il perno della pièce. Teatro non solo perché entrambi i fratelli hanno avuto un passato artistico – giocoliere coi piatti il primo, attore di teatro il secondo, ma perché il teatro sta alla base della quotidiana relazione con la società del suo tempo. Il rapporto dell’autore con il teatro si riflette bene in una frase recitata da Karl: “A me gli attori hanno sempre interessato. Quelli notevoli”. Tiezzi, in accordo con Lombardi, ha operato sul testo di Bernhard per far si che si arrivasse a un equilibrato dualismo drammaturgico (mentre in origine lo scrittore dedica l’intero primo atto al personaggio di Karl, ennesimo omaggio per l’attore Minetti), a valorizzare entrambi i personaggi. Ne scaturisce un prezioso spettacolo, semplice e lineare che al Teatro Parenti (come già in precedenti spazi teatrali in tournèe) è andato in scena in due diversi luoghi, suggestivi per complementare diversità, come il carattere dei protagonisti, per un limitato numero di spettatori. La regia punta intelligentemente sui lati ironici e quasi grotteschi del testo, sulle diversità dei due caratteri umani rappresentati riproducendo, variandole, situazioni che si ripresentano negli incontri tra i fratelli. Regia efficace e funzionale, permea lo spettacolo in trasparenza senza prevaricare lo spettatore anzi, inserendolo con la tangibile vicinanza agli attori, obbligandolo ad essere partecipe alle riflessioni che il testo suscita.
L’apparenza inganna è uno spettacolo, come raramente ormai è dato vedere, che resta “dentro” anche quando termina. Un testo che continua ad essere ancora elaborato a distanza di tempo. Questa, in sintesi, la vera funzione del Teatro. Sandro Lombardi, con la maestria affinatasi nel tempo e la perfetta aderenza di età al personaggio, rende di Karl tutte le sfaccettature, ora con oltraggiosa sicumera ora con malcelata supponenza e stupore. Dispotico quasi, tratta il fratello minore con gelidi modi di chi sa sempre come porsi di fronte alla vita; ma la risultanza finale è di una assordante solitudine, che lo porta a filosofeggiare con il canarino… Altrettanto valida la prova di Massimo Verdastro, un Robert remissivo ma non piagnone, la cui malinconia e ipersensibilità è resa con leggeri tocchi e dolenti sfumature di voce. Di gusto i siparietti musicali. E si comprende l’assegnazione del Premio Ubu, per la regia, assegnatogli nel 2000. Calorosa accoglienza del pubblico, che non voleva saperne di abbandonare la sala.
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