La Bohème conquista sempre

La Bohème di Puccini, nel glorioso allestimento di Franco Zeffirelli (ripreso da Marco Gandini), costumi di Piero Tosi, è in cartellone fino al 14 luglio al Teatro alla Scala. Uno spettacolo che dal 1963 suscita incanto e meraviglia: il fascino dell’allestimento più ripreso nella storia del Teatro milanese è rimasto pressoché immutato, suscitando ancora una volta le stesse intense emozioni a ogni ripresa. Se un po’ polverosa risulta ormai la soffitta bohémien, non così i quadri centrali del Quartiere latino e alla Barriera d’Enfer, carichi d’effetto e capaci di suscitare incanto e poetica meraviglia. L’interesse per questa ripresa stava tutta nella compagnia di canto e nella direzione d’orchestra di Evelino Pidò, rivelatasi efficace e attenta alle esigenze del palcoscenico e ai ritmi del dramma. Saporosa concertazione, che pur non brillando per scandaglio e raffinatezza di dettagli, si lascia apprezzare per la funzionalità con cui il direttore campita lo spazio con pennellate sonore a narrare la vicenda.
La compagnia di canto brillava per la presenza della voce tenorile dal timbro caldo e suadente di Fabio Sartori, un appassionato Rodolfo, amante spontaneo e generoso. Vocalmente sicuro, dalla bella linea di canto (a volte incrinata per eccesso di partecipazione emotiva) e dotato di acuti sicuri e squillanti, accomuna a un fraseggio approfondito una partecipazione espressiva e credibile. Il momento migliore lo raggiunge nel III atto, con un duetto struggente per commozione, così come nel finale è ancora lui a dare le uniche emozioni. Sonya Yoncheva era la nuova Mimì, dotata di un bel timbro caldo e dall’ampio volume, elegante in scena, vocalmente sicura (non sempre “fermi” gli acuti sul mezzo forte), tende a risolvere tutto il personaggio nella bellezza della linea di canto, non avendo ancora raggiunto l’intimo abbandono alle passioni e risultando, come interprete, piuttosto generica. Musetta sontuosa, non solo nell’ imperial portamento, ma nel timbro lussureggiante sensuale e brillante, sempre elegante e mai sguaiata, pregnante nel III atto e commovente nell’ultimo. Brillante Schaunard, quello di Mattia Olivieri, dall’incontenibile carica vocale e gestuale che cattura la simpatia del pubblico: ottimo in scena e altrettanto dicasi della voce. Misurato Marcello, cui presto un timbro polveroso e di modesto volume, il baritono Simone Piazzola; nel II atto risulta più ruvido ancora, gli acuti perdono di squillo, ma riuscendo finalmente nel IV atto a ritrovare una buona forma vocale. Un Colline dal timbro scuro era Carlo Colombara, buon fraseggiatore finché la parte resta discorsiva, non trova però un’interpretazione ispirata nell’aria Vecchia zimarra.
A completare il cast l’ottimo Benoit di Davide Pelissero, comprimario di lusso e il mediocre Alcindoro di Luciano Di Pasquale. Funzionali gli altri, sempre impeccabile il Coro scaligero. Troppi due intervalli per un’opera come La Bohème, e lunghi, che non giovano all’unità della rappresentazione. Accoglienze calorose di un pubblico prevalentemente straniero e turistico, che applaude sulla musica senza lasciar finire gli atti. Recita del 15 giugno.
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