La democrazia ai tempi di Facebook

Era il 23 aprile del 1995. Si votava nelle quindici Regioni italiane a statuto ordinario. Silvio Berlusconi, trionfatore alle politiche dell’anno prima, era stato disarcionato dal “ribaltone” di Umberto Bossi, secondo i più favorito dall’inquilino del Quirinale Oscar Luigi Scalfaro. Il Polo delle Libertà, composto da Forza Italia, dal Centro Cristiano Democratico e dalla neonata Alleanza Nazionale, si attendeva un buon risultato, proprio per il malumore dell’opinione pubblica, a cui un gioco di Palazzo aveva sottratto il “premier eletto” e la sua rivoluzione liberale. Nello studio di Emilio Fede al Tg4 Luigi Crespi, patron di Datamedia, una società di sondaggi, sta per mostrare l’ultimo ritrovato della demoscopia: gli exit poll, che fanno il loro debutto in Italia.
In pratica in alcuni seggi, che statisticamente e per ragioni misteriose, presentano spesso risultati omogenei a quelli definitivi, viene chiesto agli elettori che hanno votato, di “ripetere” il loro voto in una sorta di cabina alternativa. Un modo per sapere immediatamente come andrà a finire, per dare alimento ai panel televisivi in cui devono duellare gli appartenenti alle diverse coalizioni (oltre al Polo delle Libertà c’è l’Ulivo da poco tenuto a battesimo da Romano Prodi, con la Lega che balla da sola).
Il responso è spietato e fragoroso: undici Regioni a quattro per il centrodestra. Fede, raggiante, piazza bandierine di colore azzurro dall’uno all’altro capo dello stivale, con la sinistra chiusa nella ridotta dell’Italia Centrale. Berlusconi, Fini e Casini esultano, i loro luogotenenti esibiscono irrisioni e toni muscolari. Poi cominciano ad affluire i risultati veri, e Fede è costretto, man mano che passano le ore, a sostituire le bandierine blu con quelle rosse: finirà nove a sei per il centrosinistra. Negli exit poll, peraltro organizzati su base volontaria, gli elettori hanno mentito. Silvio Berlusconi spiegherà che a combinare il disastro è stato il troppo complicato sistema di voto (il Tatarellum), che avrebbe confuso le idee al popolo di centrodestra. D’Alema si chiese ironicamente se Berlusconi non volesse annullare il voto e dichiarare validi gli exit poll.
Ventuno anni dopo il sarcasmo dalemiano sembra essersi compiuto. Come sa chiunque abbia bazzicato i social network, il referendum del 17 aprile ha avuto su facebook un’affluenza massiccia, dell’ordine del 150/180% degli aventi diritto: lì e su twitter un profluvio di hashtag #iocivado e #notriv e #vaffanculorenzi (che fa sempre la sua porca figura. Per quelli che leggono solo le figure, vendemmie e raccolti di certificati elettorali timbrati a secco, selfie nei seggi, talvolta addirittura qualche scheda votata.
Non si pensi che questa sbronza virtuale riguardasse solo le anime candide e gli sciamannati da tastiera: il generalissimo dei referendari, il presidente della Regione Puglia Michele Emiliano, digitava tweet in quantità industriale, al grido di “ce la faremo”, “raggiungeremo il quorum” e via arringando le plebi. Su facebook si moltiplicavano gli appelli a votare di buon mattino per incoraggiare gli indecisi. E il Movimento Cinque Stelle non ha mancato di prendersela con Mattarella, reo di avere votato “troppo tardi”: pare in effetti che centinaia di migliaia di persone fossero con l’orecchio incollato alla radiolina per potersi regolare come il Capo dello Stato. Ma non hanno fatto in tempo, una volta che la candida chioma di Mattarella si sia palesata nella cabina, a raggiungere i seggi. Disdetta!
La differenza fra il referendum dei tempi di facebook e gli exit poll del 1995 è che lì la cosa, piuttosto umoristica, ebbe una fine. In questo caso la dura risposta della realtà vera alla realtà virtuale è stata sostanzialmente bypassata. I militanti della democrazia ai tempi di facebook hanno deciso di tenersi la realtà virtuale. Nella realtà virtuale esistono solo i 16 milioni di cittadini che si sono recati alle urne. Tanti, senz’altro; ma ne sarebbero serviti almeno venticinque.
Alti lai si sono levati contro l’astensionismo, criminalmente istigato dal presidente del Consiglio, e contro la barbara previsione del quorum, che renderebbe nei fatti impossibile l’utilizzo del referendum. Argomento che può avere una sua fondatezza, ma lascerebbe credere che il quorum sia stato introdotto con una leggina fatta passare di soppiatto il 15 aprile; ed invece è lì dal 1948, scolpito nell’art.75. Ammesso e non concesso che sia praticamente infattibile raggiungere il quorum che rende valido un referendum, perché promuovere un referendum?
Non meno esilarante è la diffusa invettiva contro il popolo bue e caprone, ignorante o prono, pigro e insensibile. Ma se il popolo ha queste caratteristiche nefande, perché ricorrere al popolo con lo strumento principe dell’antiparlamentarismo, il referendum abrogativo?
La risposta a queste domande è meno scontata di quanto si potrebbe pensare. Certo, ci sono in giro un sacco di deficienti, mestatori e cialtroni di vario conio e lignaggio; becerume e imbecillità non hanno bisogno di rispettare il principio di non contraddizione e non tengono in cale il dovere di onestà intellettuale che risiede nell’uniformità di giudizio (cioè valutare fenomeni simi allo stesso modo).
Ma la verità è che moltissime fra queste persone, in fuga da una realtà che ha i suoi disagi e le sue asprezze, trova nel virtuale il luogo perfetto. Un luogo dove si può denunciare che il bicarbonato di sodio cura il cancro, ma le multinazionali farmaceutiche lo tengono nascosto; dove finalmente si può auspicare l’apertura dei forni per i rom e gli slavi (e per gli ebrei, tanto per non perdere le buone abitudini); dove si può sbugiardare l’evidente bufala mediatica del finto attentato all’aeroporto di Zaventem, inscenato con effetti speciali e comparse che fingono di essere ferite; dove possiamo immaginare di conoscere donne da sogno in pose discinte e persino intrecciare con loro passioni infuocate, mentre le tastiere sprizzano testosterone.
Lì fuori c’è la realtà di uomini e donne impaurite del futuro, spesso anche dal presente; ci capita di essere incompresi, emarginati, persino abusati; le nostre passioni private e quelle civili vanno incontro alle delusioni più amare, perché quell’ammicamento e profferta, quel sorriso dolcissimo era per te e mille altri o lo hai solo sognato. Nel rifugio luminescente del monitor tutto questo scompare, e possiamo tutti sognare di gloria, dribblare le impietose risposte della storia, essere totalmente soli ed arbitri in una folla sterminata di altri onanisti di piccolo senno.
E si finisce poi come in una vignetta della Settimana Enigmistica di qualche tempo fa: con una bara spoglia in una chiesa e solo due anziane donne presenti. Ed una delle due dice all’altra: “E pensare che aveva più di duemila amici su Facebook!”
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