La giustizia comprensibile: la connivenza

Sapere che altri commettono reati e non denunciare, è a sua volta un reato?
Statisticamente è stato accertato che ad almeno tre persone su dieci sia capitato di venire a conoscenza che qualcuno dei propri amici o famigliari stesse commettendo un reato.
E’ quindi altamente probabile che, se non vi è ancora successo, vi possiate trovare in futuro a interrogarvi se per voi conti di più la lealtà verso qualcuno a cui volete bene, ma che ha violato la legge, o se la giustizia sia un principio che non deve ammettere né compromessi né eccezioni.
E se deciderete che i vostri affetti meritano la vostra omertà, dovete essere consapevoli di cosa rischiate non denunciando all’autorità giudiziaria ciò che sapete.
Alla luce di principi giurisprudenziali che possono definirsi oggi consolidati, gli elementi che devono essere analizzati per capire se potreste essere accusati di concorso nel reato del vostro amico/famigliare o se al contrario il vostro comportamento possa essere considerata mera connivenza, in quanto tale non penalmente rilevante, sono da un lato la natura del vostro apporto all’attività criminosa, dall’altro il tipo di rapporto che vi lega all’oggetto su cui ricade il reato.
Più semplicemente, si può dire che il concorso nel reato si configura in tre ipotesi: qualora abbiate contribuito con azioni materiali a realizzare il crimine; nel caso in cui con parole abbiate volontariamente incoraggiato e rafforzato le intenzioni criminose dell’autore dell’illecito, incidendo sulla sua determinazione a delinquere; infine se la legge (ad esempio se siete genitori) o un contratto (ad esempio nel caso che apparteniate alle forze dell’ordine) vi obblighi ad impedire che un certo bene (rispettivamente i figli e la legalità) sia fatto oggetto di aggressione.
In tale ultima circostanza, non intervenire per evitare che il reato venga commesso o che si protragga, equivale per la legge a commetterlo.
Al contrario, si configura mera connivenza non punibile in due ipotesi: qualora la vostra condotta si possa definire di “conoscenza passiva”, cioè una consapevolezza inerte, inidonea ad apportare alcun contributo alla realizzazione del crimine, e se la legge non vi include in quelle particolari categorie di soggetti, esemplificate supra, che hanno l’obbligo di attivarsi per tutelare un certo bene.
Ciò significa che se non avete l’obbligo giuridico di proteggere la persona o la cosa su cui inciderà la condotta del vostro amico/famigliare e se vi siete limitati ad assistere passivamente alla perpetrazione del reato, senza intervenire per impedirne od ostacolarne l’esecuzione ma nemmeno manifestando consenso ed adesione, potrete essere tutt’al più destinatari di biasimo morale da parte della collettività ma non potrete essere certamente imputati per concorso.
La connivenza consiste pertanto nel tollerare che un’azione riprovevole venga commessa: può essere giudicata e condannata soltanto dalla nostra etica o dalla nostra religione, ma mai la confidenza che abbiamo col male arrecato dagli altri ci porterà dentro un tribunale.
Annamaria Toss
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