La Maria Brasca, tributo a Testori

Andrèe Ruth Shammah profondamente legata a Giovanni Testori (di cui ha diretto al Teatro Franco Parenti la Trilogia – Ambleto, Macbetto e Edipus – ma anche L’Arialda e I promessi sposi alla prova) celebra il centenario della nascita del poliedrico uomo di cultura: scrittore, giornalista, poeta, critico d’arte e letterario, riallestendo La Maria Brasca, uno dei primi lavori del drammaturgo di Novate Milanese.
Testo scritto per Franca Valeri, che lo portò in scena al Piccolo Teatro di Milano nella stagione 1959-1960, regia di Missiroli, tornò a vivere proprio grazie alla Shammah il 26 ottobre 1992, con protagonista Adriana Asti che ne fece un suo cavallo di battaglia; spettacolo scandito da oltre trecento repliche. Curioso ricordare il passaggio di testimone che avvenne la sera del debutto, tra la Valeri seduta in prima fila e la Asti in palcoscenico. Un testo che mantiene intatto l’impatto di travolgente vitalità di una figura femminile, atipica nella galleria testoriana, di mescolanza tra appagante felicità di un vissuto amoroso e sensuale – unico motivo di vita – e la caparbia determinazione nella lotta per difenderlo, contro le stanche convenzioni e la stagnante rassegnazione in cui è immersa. Niente la ferma, niente la spaventa. Testori si erge soprattutto nel secondo atto, quando delinea potentemente un archetipo di donna, figura non soltanto legata a un momento storico o locazione geografica, ma donna tout court che difende il suo amore, unica ragione di esistere.
La Brasca, assurge anche a emblema della gente e della regione che rappresenta, facendo tutt’uno con la loro storia, questo mondo milanese che Testori dipinge con vividi colori. Non calca la mano sul dialetto, senza eccessi restituendo lo specifico “sapore milanese”, l’interiorità, patetico specchio della condizione umana e sociale. Passioni sanguigne e concrete animano il racconto, quotidianità della periferia vissuta in una vita faticosa e senza albe di gloria. La sfrontata vitalità di quell’umanità che vive ai margini, che conosce solo la realtà che asfitticamente la circonda e ammorba, groviglio di umori e sentimenti, colori, istinti e rancori, piccoli calcoli di cui s’intesse la loro vita. Una scrittura, quella di Testori che si rivela in evidenza d’immagini, sotto la quale c’è una carica di acuta tensione, si traduce in un realismo molto colorito e “vivace”, da cui ricrea il linguaggio con artistica maestria a presentarci stati d’animo concitati. I personaggi sono sballottati da diverse passioni, dal desiderio dell’amore scaturisce anche nello spettatore una partecipazione piena ai loro affanni e alla comprensione dell’anima popolare.
La messinscena è ancora quella storica di Gianmaurizio Fercioni, dall’ambiente unico agito su due livelli. Scomparsi da tempo i prati dove poter fare “all’amore”, in palcoscenico ci si ritrova in un luogo abbandonato in cui son rimaste poche file d’impolverate poltroncine di legno, da cinemino di periferia. Pareti spoglie grigio-mattonellate, povera vegetazione che fa capolino da un’apertura e foglie di una stagione passata. In fondo, dove forse c’era un tempo lo schermo, si proietta uno spazio di scialba e impersonale cucina, punto centrale di sacrificato appartamento in condivisione. Si sentono le voci di Adriana Asti, Testori e Parenti. E Celentano, con i suoi 24mila baci…
Intelligentemente la regia evita il naturalismo, mirando a un dipanarsi leggero e felice. Marina Rocco, la protagonista, è una presenza dolce e bionda, che si cala con indicibile naturalezza nel personaggio: con quel fare inizialmente infantile e svaporato – in originalità recitativa e dai risvolti ironici – sicura di un cotè sensuale sottile, quasi giocando con la vita, non fa supporre la determinazione e la grinta che sgorgheranno nel prorompente finale. Raggiunge momenti d’intensa credibilità e pathos nei monologhi con gli “assenti” (personaggi che la Shammah ha tagliato nel suo adattamento), in accorato dialogo con il suo interno sentire, quasi drammatico; e quella Giuseppa ce la rende tangibile e presente, ancor prima che per geniale trovata registica si materializzi nella persona di Ornella Vanoni, seduta in seconda fila.
Fresca d‘incantato stupore all’udir della” Renata”, si erge come un gigante nella scena finale con Romeo, cui non resta che soccombere avanti la logicità del suo dire e alla forza travolgente della sua motivazione amorosa. Alla fine, il teatro si mescola alla realtà e, rotta la quarta parete, la Rocco scende nuovamente in platea a duettare con la Vanoni, raggiante della conquistata felicità. Trionfo. Dolente e partecipe Enrica di Mariella Valentini, rassegnata a differenza della combattiva Maria, ma alla fine un po’ della sua energia e caparbietà riuscirà a trasmettergliela se, alla fine, Angelo ed Enrica ballano abbracciati. Completavano il cast Luca Sandri e Filippo Lai, un Romeo Camisasca funzionale. Commossa Ruth Shammath ricorda Testori e Parenti, ma anche Asti, nonché la magia di riallestire questo spettacolo. Calorosissima accoglienza finale. Al Teatro Franco Parenti di Milano, fino al 5 marzo.
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