Le pericolose relazioni di Quartett

Con Quartett di Luca Francesconi, il Teatro alla Scala prosegue il percorso intrapreso con le prime assolute di Ti vedo, ti sento, ti perdo di Salvatore Sciarrino e Fin de partie di György Kurtág, nella musica del nostro tempo.
Riproponendo questo titolo, appositamente commissionato e andato in scena nella stagione 2010/11, la Scala intende valorizzare un’opera che ha avuto successo e molte rappresentazioni: le oltre quaranta riprese di Quartett sono la prova tangibile della fiducia posta nei nuovi lavori del teatro musicale.
Lo spettacolo è sempre l’emozionante allestimento creato per la Scala da Alex Ollé de La Fura dels Baus; sul podio torna il giovane Maxime Pascal, già applaudito in Ti vedo, ti sento, ti perdo e fondatore a Parigi dell’ensemble Le Balcon.
Il libretto, scritto dallo stesso Francesconi, sull’omonima pièce teatrale di Heiner Muller (a sua volta liberamente tratta da Les liaisoins dangereuses di Choderlos de Laclos), riducendo la galleria dei personaggi della vicenda ai due soli protagonisti, evidenzia in maniera ancor più feroce e drammatico il “gioco al massacro” della Marchesa di Merteuil e del Visconte di Valmont.
In Quartett, totalmente perduto ogni cotè galante e incipriato della fonte originale, il soggetto mostra il lato più scabroso della vicenda vissuta dai due contendenti, completamente nudi nella loro amoralità. Si slanciano in un parossistico gioco avvelenato che non tiene tanto conto di schermaglie o sentimenti umani (intrigo, vendetta o gelosia, che sia), ma procedono in sfrenatezze di pensiero e arditezze al confine col sacrilegio di concetti empi: un nichilismo che urla la propria rabbia al Cielo.
Vero è che, già nel romanzo di Laclos, quasi tutti i personaggi sono da compiangere, prigionieri come sono di un sistema da cui non hanno la forza di sottrarsi: la Merteuil di sfuggire alla condizione femminile del tempo, avvoltolandosi nella perversione e nell’ipocrisia. Valmont che si rende conto che c’è altro oltre al codice di comportamento libertino per gestire i rapporti umani e la Tourvel non riesce a decidere di vivere per sormontare la sua pena, amando senza colpevolizzarsi.
Questa claustrofobica situazione è perfettamente esemplificata dalla pregnante scena di Alfons Flores, dove i video di Franc Aleu acquistano tutta la loro funzionale validità: un luogo angusto e sospeso nello spazio (e nel tempo), scena isolata a riquadro, ricetto del cuore per tale vicenda.
Perfetti i costumi di Lluc Castells, avvolgenti e intriganti le luci di Marco Filibeck. La dissociazione schizofrenica dei protagonisti è sottolineata dalla musica creata da Francesconi, con l’uso di orchestra interna ed esterna, ma soprattutto con l’Inversione delle parti e dei ruoli che i due cantanti sono portati a fare, esemplificando lo scandaglio profondo della complessità e della vera natura delle loro anime.
Allison Cook era una Marquise de Merteuil fiera e dal cinismo sfrenato ben espresso in taglienti recitatavi e vocalmente; gelida mantide religiosa che sbrana il “compagno” prima di distruggere se stessa. Credibile nella repentina migrazione al personaggio di Valmont (di cui in fondo è la vera natura dominante) ma anche nella timida Cécile de Volanges capace d’ingenuità e pudori virginali.
Robin Adams presta al Vicomte de Valmont una poliedricità non solo di canto (uso del falsetto) ma anche nella partecipe interpreazione. Disilluso e un po’ sottomesso alla Marchesa, trova accenti struggenti nella morte come M. de Tourvel.
Convincente e serrata la direzione di Maxime Pascal, appassionato sostenitore del repertorio moderno.
Ottima la regia Alex Ollé – La Fura dels Baus, ripresa da Patrizia Frini, che ha spaventosamente scoperto il drammatico e orgiastico ordito del romanzo di Choderlos de Laclos, arrivando all’esplicita rappresentazione di ogni perversione sessuale senza però mai scadere nella pornografia.
Straziante la scena finale.
Applausi calorosi e convinti di un pubblico non particolarmente numeroso.
Recita del 14 ottobre.
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