Lehman Trilogy torna al Piccolo Teatro

Per dare inizio ai festeggiamenti dei 70 anni di Teatro al Piccolo di Milano, non si poteva scegliere spettacolo migliore di Lehman Trilogy, spettacolo ideato da Luca Ronconi partendo dal pluripremiato testo di Stefano Massini. D’intesa con l’autore, Ronconi ha condensato i tre capitoli originali della Trilogia (Tre fratelli, Padri e figli, L’immortale) in due parti: Tre fratelli e Padri e figli. Lehman Trilogy è una saga epica che racconta, nell’arco temporale di un secolo e mezzo, da metà ottocento fino al fatidico 2008, l’ascesa della famiglia Lehman. E in filigrana un pezzo di storia del capitalismo americano. Una storia di uomini emigrati dalla Baviera e trapiantati nel profondo Sud americano; uniranno i loro differenti temperamenti per fonderli in una sfrenata ambizione di arrivare. La passione per il cotone prima, poi per carbone, ferrovie, e speculazioni finanziarie, farà dei Lehman Brothers una delle società più importanti. Esempio e concretizzazione del “sogno americano”. I sagaci fratelli Lehman correranno più volte il rischio di cadere con la Guerra di Secessione, i conflitti mondiali e la famosa crisi del 1929 ma, grazie alle capacità di abnegazione e all’indubbio talento finanziario, alla lucida inventiva e una spiccata capacità di fiutare il cambiamento, sapranno sempre risollevarsi. Tranne l’ultima volta: il 15 settembre 2008, quando la Lehman Brothers, la Banca fondata dalla famiglia a New York, dovrà dichiarare fallimento. Il più grande fallimento nella storia delle bancarotte mondiali. Trasportata in palcoscenico, Lehman Trilogy è diventata un’esperienza teatrale indimenticabile, una delle produzioni più apprezzate del Piccolo Teatro. Lo spettacolo di Ronconi torna oggi nella storica sede di via Rovello per la terza volta, dopo aver debuttato al Teatro Grassi il 29 gennaio 2015 e ripreso dopo pochi mesi, a maggio. Fresco di recenti tournée che l’han visto calcare le scene di Torino e Roma, vanta ormai più di un centinaio di repliche. La prima parte inizia l’11 settembre 1844 con l’arrivo in America di Heyum Lehmann proveniente da Rimpar, piccolo villaggio della Baviera. Viene registrato da un ufficiale del porto come Henry Lehman: da allora in poi quello sarà il suo nome. Si stabilisce a Montgomery (Alabama), dove apre un emporio di tessuti. Tre anni dopo lo raggiunge il fratello minore Mendel, che in America prenderà il nome di Emanuel, infine “il piccolo” Mayer. Nel corso degli anni il loro interesse si sposta dal cotone al caffè, alle grandi infrastrutture (ferrovie, canale di Panama) fino ad approdare in Borsa, dove tutto si vende ma nessuna merce è. Tre fratelli termina all’inizio del Novecento con la morte di Emanuel e l’avvento della nuova generazione guidata da suo figlio Philip. La seconda parte si apre nella New York degli anni Dieci del Novecento. I fondatori della dinastia, Henry, Emanuel e Mayer, sono morti; al loro posto ci sono i figli: Philip (figlio di Emanuel) vuole speculare in Borsa, mentre Herbert (figlio di Mayer) non si fida. Quest’ultimo diventa Governatore di New York. A settant’anni Philip Lehman “lascia”, ma non definitivamente: non si fida del figlio Robert (Bobbie), laureato in economia a Yale. La Lehman Brothers passa attraverso la Prima Guerra mondiale, la crisi del 1929, la Seconda Guerra mondiale, avventurandosi in nuovi e sempre più spericolati investimenti (telefonia, computer, persino la bomba atomica) espandendo i propri interessi in tutto il mondo. Alla morte di Bobbie Lehman nel 1969, la società è affidata a Pete Peterson, estromesso da Lewis Glucksman, che condurrà la banca a una prima crisi, negli anni Ottanta. Dopo la ripresa, il nuovo CEO, Dick Fuld jr, vivrà il destino di essere legato alla catastrofe dei mutui subprime e al fallimento della più che centenaria Lehman Brothers, il 15 settembre 2008.
Lo spettacolo ronconiano dipana la saga dei fratelli Lehman (radicati in forti radici religiose ebree-ashkenazite) in un contesto quasi onirico, come se si assistesse a un prolungata cerimonia funebre, screziata da una forte componente umoristica yiddish: scherzando, si può dire tutto, anche la verità. Una contaminazione continua tra reale e interiorità del sogno. La scena di Marco Rossi è neutra, come meglio non si sarebbe desiderata per scongiurare il pericolo di una inutile storicizzazione della vicenda. Pochissimi anche gli elementi in scena, qualche sedia, dei banchetti e un’insegna a scomparsa. Lo stesso dicasi per i costumi di Gianluca Sbicca, in nulla caratterizzati, se non a valorizzare i visi, come fanno quegli abito-tuta indossati dai protagonisti. Consone le luci di luci A.J.Weissbard e i suoni di Hubert Westkemper. Nel testo di Stefano Massini non c’è mai un “io” predominante, ma tutto si tramuta in esperienza totalizzante. L’andamento è caratterizzato da frasi reiterate, quasi in forma di ballata e si avverte la cantabilità del testo, sbalzato in alcuni momenti da veri e propri canti, anche di fede religiosa. Non ce un percorso segnato, non un recitare come siamo abituati, piuttosto un abitare, un vivere fisicamente una zona narrativa. Per rendere tutto questo c’era bisogno di interpreti eccezionali e il cast riunito dal Piccolo Teatro lo è: Massimo De Francovich, Fabrizio Gifuni, Massimo Popolizio e Paolo Pierobon. Rigorosamente citati in ordine di apparizione. Difficile immaginare di meglio. Diversi per età e formazione, questi attori sono riusciti nell’intento di rendere un’omogeneità nella diversità della caratterizzazione. Splendido Massimo De Francovich nel delineare il più vecchio dei fratelli Lehman, il caparbio e tenace Henry iniziatore della saga famigliare, determinato eppur paterno verso i fratelli. Superlativo Massimo Popolizio (che non per niente ricevette per quest’interpretazione il Premio Ubu e Hystrio) con la sua debordante capacità linguistica di sfumare la parola di mille e infiniti riflessi per delineare l’introspettivo Mayer Lehman. Impagabile Paolo Pierobon, intenso e partecipe fino alla trasfigurazione nei panni del razionalissimo e spietato Philip Lehman e infine l’efficacissimo Fabrizio Gifuni a dar corpo al coriaceo e risoluto Emanuel Lehman. Da citare Martin Ilunga Chishimba, perfetto Testatonda Deggoo nonché i corretti interventi di Fabrizio Falco, Solomon Paprinskij e di Roberto Zibetti, un astratto Herbert Lehman. Completavano il cast Raffaele Esposito, Denis Fasolo e Francesca Ciocchetti. Trionfale l’esito della serata, sottolineato da vere ovazioni per gli interpreti principali. Recita del 3 gennaio.
Piccolo Teatro Grassi (via Rovello 2), fino al 21 gennaio 2016
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