MARGINI – Ai lati del mainstream: Bossetti, Yara ed Otello

Othello, da molti considerato il capolavoro assoluto di Shakespeare, deve il suo fascino e la sua capacità di avvincere lo spettatore al fatto che il perfido Iago tesse le sue trame in modo del tutto trasparente al pubblico, che vede il Moro di Venezia venire irretito nella di lui tela, perdersi nel delirio ed arrivare ad uccidere l’innocente e innamorata Desdemona senza poterlo avvertire. Basterebbe un grido, una parola, un allarme dalla platea e il condottiero della Serenissima sarebbe salvato dalla sua dannazione, la vita di Desdemona risparmiata e le arti maligne di Iago vanificate.
Ma non si può, benché lo spettatore non disti che pochi metri dal luogo in cui Iago fa balenare agli occhi del Moro turpitudini inesistenti, sogni rivelatori e fazzoletti donati in pegno d’amor furtivo. In quei pochi metri, però, passa il confine invisibile fra platea e palco, fra stage e audience. Se preferite, fra quotidiana realtà e sogno immaginato.
Per appassionarci alla vicenda narrata dobbiamo sospendere l’incredulità, credere che quinte arredate con maggiore o minore accuratezza siano gli spalti merlati della roccaforte di Cipro, che un signore con della cromatina in viso sia un condottiero del Leone di San Marco, e che un altro mite signore sia il suo mancato alfiere, pretermesso e votato a vendetta. Ma sempre in forza di questa sospensione dell’incredulità, dobbiamo rassegnarci al silenzio, comprendere di non dovere e di non poter avere parte attiva nella vicenda, subire impotenti il compiersi del fato.
L’informazione, in un moderno sistema democratico, ha il compito preciso di avvertire Otello. Spetta ai giornali ed ai giornalisti sbugiardare Iago, o quanto meno porre in dubbio le sue insinuazioni, verificare le sue calunnie, registrarne le contraddizioni. Naturalmente Iago può essere volta a volta la Volkswagen, Bush che mente sulle armi di Saddam, Berlusconi che si spaccia per amico di famiglia di Noemi Letizia, Renzi che rassicura Letta e così via. Ma il ruolo non cambia.
Accade però che l’informazione non solo si dimentichi di avvertire Otello, ma si trovi ad essere complice più o meno inconsapevole di Iago. È accaduto nel processo per l’omicidio di Yara Gambirasio, che come tutti sanno vede come unico imputato Massimo Bossetti, il cui Dna sarebbe stato trovato sugli indumenti della sventurata tredicenne.
Nel corso di una delle più recenti udienze del processo un alto ufficiale dei Carabinieri ha candidamente ammesso che il filmato presentato dai giornali come una delle “prove regina” contro l’imputato (perché mostrava il suo furgone nelle vicinanze della palestra che è l’ultimo posto dove la piccola Yara è stata vista) è in realtà stato costruito ad uso dei media, tant’è che non ve n’è traccia nel fascicolo processuale.
Un filmato confezionato dai Carabinieri su disposizione della Procura per “esigenze di comunicazione”. Non è la prima iniziativa mediatica che si registra su questo processo: venne data a suo tempo ampia risonanza alle testimonianze che avrebbero reso alla procura ignoti (e squallidi) personaggi che avrebbero intrattenuto relazioni adulterine con la moglie di Bossetti, all’insaputa di quest’ultimo. Un atto incredibile, con il quale la Procura (ragionevole origine delle indiscrezioni) si proponeva di screditare la donna, convinta dell’innocenza del marito. L’impressione è che in questo processo la componente manipolativa sia fortissima, e manovrata dalla pubblica (?) accusa con assoluta spregiudicatezza.
Il fatto è che, a parte questa aperta ed illegale malevolenza, l’indagine non sembra contare su basi molto solide, con buona pace della dottoressa Bruzzone e degli altri frequentatori dei salotti televisivi: certo, il Dna è un fattore importante; ma da solo non basta. E le troppe zone d’ombra sul movente (basato su bave impalpabili come tracce di ricerche su google di adolescenti che Bossetti avrebbe compiuto), sulla dinamica e sull’occasione appaiono fragili, arbitrarie e malevole come le parole di Iago.
Forse qualcuno ricorderà che O. J. Simpson, il campione di football americano accusato di avere ucciso la moglie, venne prosciolto perché l’avvocato di Simpson dimostrò come il funzionario di polizia che aveva condotto le indagini avesse convinzioni razziste, e quindi incuneò nella mente dei giurati il dubbio che le indagini fossero state condotte in modo strabico, tese solo ad inchiodare un nero che aveva ucciso una bianca. Nell’idea anglosassone di giusto processo è infatti previsto che la pubblica accusa debba procedere senza pregiudizi e prevenzioni di sorta, pronta a raccogliere non solo prove a carico dell’imputato, ma anche a sua discolpa. Ah, già: ora che ci penso, queste norme sono in vigore anche in Italia.
È per questo che penso che il signor Bossetti, in mancanza di fatti nuovi, vada prosciolto: non perché non frema al pensiero che la morte di quella piccola ragazzina in fiore resti impunita. Non perché Bossetti mi sia simpatico. È perché non sono convinto (eufemismo) che gli investigatori e i magistrati che li hanno coordinati abbiano agito in modo coscienzioso ed imparziale. Quando questo accade, quando non è possibile liberarsi del ragionevole dubbio che non si sia ricercata la giustizia con scrupolo ed integrità, bisogna essere e dichiararsi innocentisti. Tale sono e sarò: in memoria di Otello.
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