MARGINI Ai lati del mainstream: Sangue, arena e Filomena

Il sangue, il rosso liquido della vita, esercita un fascino ancestrale, di recente ravvivato dai fasti della genetica, dalle avventure dei vari Crime Scene Investigation, dalla funambolica e frattale esplorazione del genoma. Il sangue come radice autentica di un mondo reificato, garanzia della nostra unicità animale sotto la coltre posticcia della civiltà.
“È la battaglia del sangue contro l’oro”, compitava la propaganda nazista durante la Seconda Guerra Mondiale, e i vincoli e i legami di sangue hanno esercitato ed esercitano un’influenza profondissima nelle nostre società e nei loro ordinamenti. Se ne vede un esempio in alcuni dibattiti che hanno avuto un certo spazio nell’attualità politica recente.
Il primo è la disputa fra ius sanguinis e ius soli in materia di cittadinanza. È Italiano chi è figlio di Italiani o chi è nato in Italia? Finora la risposta della legge era senza dubbio la prima. Ci sono anche stati uomini politici, il missino Mirko Tremaglia su tutti, che hanno dedicato la loro intera vita alla difesa dell’italianità nel mondo, con parlamentari eletti da cittadini che non pagano tasse (representation without taxation) e nostri “compatrioti” che percepiscono pensioni sociali (che spesso, al cambio degli Stati di residenza, garantiscono una certa agiatezza) senza avere lavorato un solo giorno in Italia.
In compenso ci sono bambini (magari di pelle scura, magari con gli occhi a mandorla) che sono nati in Italia e non si sono mai mossi da qui, ma restano “stranieri”. Non voglio addentrarmi nel merito della questione e delle polemiche che sta suscitando, ma ammetterete che vi è un che di paradosso. Il retaggio del sangue è in grado di costruire ponti fra luoghi lontanissimi e in pari tempo di erigere barriere all’interno della stessa città, o quartiere o condominio.
Ancora più massiccia è la voce del sangue in termini di genitorialità. Avrete seguito certamente la vicenda della piccola Yara e del suo (molto) presunto assassino. Giornali e tv si sono affannati a spiegarci con dovizia di particolari come il “vero padre” di Bossetti fosse il casuale inseminatore di sua madre in un fortuito adulterio di paese. Quell’altro, quello che lo ha cresciuto, vestito, pulito il sedere ed educato è diventato di colpo un emerito nessuno, un ignaro cornuto, un dabbenuomo ridicolo e ingenuo. La lotteria del Dna non ammette eccezioni, non conosce bizzarrie o stranezze.
Così, quando in Puglia si è scoperto che due bambine erano state scambiate in culla e la figlia della coppia disastrata e laida è cresciuta con la famiglia onesta ed agiata e viceversa, i giornali si sono affannati a spiegarci come qualmente la diseredata andasse ben poco d’accordo con i genitori putativi. Normale conflitto di adolescente? Macché! Era la voce del sangue che prepotente affermava i suoi diritti, gli anticorpi genetici che reagivano all’improvvido trapianto.
D’altronde l’esame del Dna è ragione sufficiente per attuare il disconoscimento di paternità; disconoscimento che è invece impossibile, se non autorizzato dal sangue. I vostri figli, a meno che non tentino di farvi fuori, erediteranno i due terzi del vostro patrimonio anche se abitualmente i vostri rapporti sono caratterizzati da insulti, risse sanguinarie e reciproche maldicenze.
La voce del sangue diventa particolarmente complicata quando, in materia di coppie omosessuali, si contempla la possibilità che uno dei due partner adotti il figlio biologico dell’altro, la cosiddetta stepchild adoption. L’argomento è affrontato con un furore ideologico degno di miglior causa. Anche qui, mi terrò a debita distanza dalle dispute sulla famiglia “tradizionale”, il “diritto dei bambini ad avere un papà e una mamma”, l’utero in affitto e varia letteratura.
Registro però che i contrari a questo istituto non creano problemi ad altri che al bambino. Il figlio biologico di un padre o di una madre omosessuale crescerà con due padri o con due madri, a meno che lo Stato non gliene voglia assegnare altri “d’ufficio”. Ma sarà costretto ad averne uno solo dal punto di vista legale, in una sorta di orfananza per decreto.
È qui che a mio parere sangue e arena dovrebbe dare ascolto a Filomena, intesa come Marturano. La protagonista della celebre commedia di Eduardo, come sapete, esige che Domenico Soriano, suo amante ai tempi del lupanare e poi convinvente more uxorio ed infine sposo, riconosca i suoi tre figli, uno soltanto dei quali è “sangue del sangue” di lui. E motiva questa pretesa con la celebre frase i figghie so’ figghie! I figli sono figli e basta, comunque e da chiunque siano nati. E far pesare a qualcuno il modo in cui è nato è sotto ogni aspetto una barbarie. Tale da far gelare il sangue.
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