Myung-Whun Chung esalta Simon Boccanegra

Simon Boccanegra di Giuseppe Verdi, è un titolo operistico che trova frequenti presenze nei cartelloni scaligeri, soprattutto a partire dalla riscoperta che ne fece il Maestro Gavazzeni negli anni ’60. La definitiva consacrazione di Simon Boccanegra, quale potente espressione della personalità di Verdi, iniziò il 7 dicembre 1971, data storica negli annali del Teatro alla Scala, con la memorabile serie di recite dirette da Claudio Abbado e lo splendido spettacolo di Giorgio Strehler. Dal 2010 (ripreso poi nel 2014 e 2016) si propone oggi la coproduzione con la Staatsoper unter den Linden di Berlino, regia di Federico Tiezzi, scene di Pier Paolo Bisleri e costumi di Giovanna Buzzi.
Dirige nuovamente il Maestro Chung, molto atteso in questa seconda frequentazione milanese del titolo verdiano, dopo il successo ottenuto due anni fa. Simon Boccanegra al suo debutto, Venezia 1857, fu un insuccesso. Sia per la delirante trama, derivata (come Il Trovatore) da un romanzo di Garcìa-Gutièrrez, sia per la novità della scrittura musicale. Il genio teatrale del Maestro di Busseto lo porta, nel 1881, a rivedere ampiamente la partitura pur mantenendo la semplicità dei temi musicali dell’originale. Un’opera dalle tinte scure, che combina elementi contorti in un racconto che consente a Verdi di scolpire la figura del protagonista. Un uomo, non certo un eroe, dal passato burrascoso di pirata spietato, sacrificato in un ruolo di comando cui si sente inadatto. (Anche se alla verifica storica si scopre che Simone era un aristocratico, mentre il “corsaro” era il fratello Egidio…). Simone cerca in ogni modo di conciliare i gravi conflitti sorti fra aristocrazia e plebei, sedando furiose rivolte. Unica consolazione, in questa Genova arcaica e rapace, il ritrovamento della figlia perduta, che lo accompagna nell’ultimo scorcio di vita.
Nel funzionale spettacolo ideato da Federico Tiezzi, ripreso da Lorenza Cantini, ambienta le vicende in una Genova stilizzata ed evocata; il disegno registico si apprezza soprattutto nelle masse, mosse con intelligente finalità a formare quadri umani. Importanti le luci, di Marco Filibeck, che disegnano e sottolineano ulteriormente la scena. Particolari i costumi: quelli dei marinai, il coro in blu, possente. Il protagonista Leo Nucci, dopo anni di frequentazione con il protagonista Simone, riesce ancora (ad onta delle ormai ridotte potenzialità vocali che gli precludono una più ampia dinamica) ad essere un credibile doge e padre amoroso. Soprattutto nel duetto con Amelia trova un impeto d’amor paterno, e nella Sala del trono sa essere ieratico, pur senza grandi sfumature di nobiltà. Amelia, Krassimira Stoyanova risulta impeccabile vocalmente ma, tolti rari momenti in cui usa le preziose mezzevoci a fini espressivi, non impressiona per originalità di accenti. Il Gabriele Adorno di Sartori si fa ammirare per volume e colore vocale, ma giocato com’è quasi interamente sul mezzoforte risulta alla lunga un interprete monocorde; le mezzevoci sono sbiancate e l’accento diventa plebeo, vedi nello scagliare “l’uom possente”. A Jacopo Fiesco presta la voce il basso Dmitri Belosselskiy, dalla fonazione vagamente slava, possente ma tutta proiettata in superficie, suoni cavernosi e un po’ intubati. Piacevole il Paolo Albiani del baritono slovacco Dalibor Janis, in special modo nella scena dell’ultimo atto. Funzionale il Pietro di Ernesto Panariello. Dirigeva il Maestro Myung-Whun Chung che con quest’opera verdiana ha stabilito un’affinità che traspare nella trama orchestrale: profonda, morbida di personale intensità. Preziosa la concertazione, con la più scrupolosa attenzione ad ogni frase dei cantanti. Finale del primo atto travolgente, splendido il concertato del III atto. Successo caloroso, ovazioni per il Direttore. Recita del 16 febbraio.
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