Nabucco, passione verdiana

c. I motivi di curiosità di assistere a una delle rappresentazioni erano molti, cominciando dalla presenza sul podio dell’ultra ottuagenario Nello Santi, assente dalla Scala dalle rappresentazioni di Madama Butterfly della stagione 1971/72. E poi ancora la presenza di Anna Pirozzi, ascoltata in precedenza ne I due Foscari, il tenore Stefano La Colla, dopo la buona prova in Turandot, il debutto di Mikhail Petrenko e l’ennesima interpretazione, nelle parti del protagonista, di Leo Nucci. Il baritono, che ha raggiunto le settantacinque primavere, continua a vivere una longevità di carriera incredibile; pur non potendo più contare su un’organizzazione vocale che risponda alle sollecitazioni della partitura riesce, ricorrendo all’incisivo scavo della parola e alla validità dell’agire scenico, a dare credibilità e spessore drammatico al personaggio di Nabucco. Eppure, nonostante la voce mostri segni di usura, impavido, si lancia nelle cabalette con un coraggio che non conosce risparmi. Riesce poi a essere addirittura impressionante nella scena del delirio, credibilissimo nei momenti di pazzia e infine patetico nei momenti dell’implorazione, supplendo con l’intensità della partecipazione alle ragioni essenzialmente vocali. Anna Pirozzi è una Abigaille che si apprezza vocalmente per gli acuti svettanti e luminosi (anche se spinti), per la buona tecnica che si traduce in facilità nell’esecuzione dei passi di agilità che mai la impensieriscono e per le finezze dei preziosi smorzando e assottigliamenti di voce che arrivano al pianissimo. Il volume però non è ampio e i centri poco risonanti non aiutano a far campeggiare il personaggio. Interprete credibile e impavida nel Salgo già del trono aurato, dalle buone intenzioni, ma a cui fa difetto l’ampiezza vocale, l’’imperiosità di suono connaturati alla protervia e ambiziosa regalità del personaggio, anche se il fraseggio non manca mai di essere incisivo.
Trova i momenti migliori nelle pagine liriche, dove fa valere un canto più raccolto e lineare mettendo in risalto l’elegante linea di canto ricca di finezze. Mikhail Petrenko presta a Zaccaria una voce di basso non particolarmente imponente, dal timbro vagamente polveroso. La tecnica vocale non è impeccabile: gli acuti suonano quasi sempre “aperti”, in basso forza il suono per renderlo più corposo, mentre risulta un po’ grezzo nella cabaletta. Interprete poco ieratico nella parte di un Pontefice, riesce alla lunga funzionale. Ismaele era Stefano La Colla: dopo un baldanzoso ingresso si sperde però poi in una interpretazione sui generis, spingendo sulla voce che diventa dura. Fenena era Annalisa Stroppa, voce calda e timbrata di mezzosoprano, inizia con qualche opacità per trovare poi la piena risonanza vocale, raggiungendo nell’aria dell’ultimo atto il momento più intenso. Abdallo mediocre quello di Oreste Cosimo, così come non esaltante il Gran Sacerdote di Giovanni Furlanetto, dai suoni gonfiati. Efficace invece Anna di Ewa Tracz. Il Coro Scaligero la fa da padrone, in Nabucco, a conferma della coralità dell’opera più che dei singoli. Centrale presenza, e non solo nel celeberrimo “Và pensiero”, il Coro scaligero dà un’ennesima dimostrazione della maestria che lo contraddistingue. Forte l’impressione che produce nell’aria celeberrima, isolato nella spoglia nudità della scena e messo in risalto dalle luci che piombano dall’alto. Qualche slittamento tra podio e palcoscenico non inficia un’esecuzione magnifica.
Il Direttore lo traduce più in una nostalgica e commossa rimembranza, resa in pastosa e sontuosa esecuzione più che un lancinante grido di un popolo prigioniero. E infine Nello Santi, accolto da un affettuoso applauso fin dall’ingresso in buca orchestrale. Un artigiano d’altri tempi: senza sovraccarico di intellettualismi, imprime solennità all’ouverture; la sua direzione non conosce il demone della velocità, scegliendo un accompagnamento placido e narrativo scevra da una febbrile tensione drammatica. Sa trovare momenti di giusta concitazione e ottiene il meglio nei concertati. Allestimento minimal-chic, che vorrebbe ricordare la Shoah, ambientato in uno spazio asciutto di mattoni grigi e lapidi, forse un cimitero: allestimento che dice tutto e niente, con quel fuoco, quelle statue di metallo che si compongono e scompongono ma che non sa far a meno di inflazionatissime proiezioni che tolgono magia e teatralità al fluire narrativo. Regia di Daniele Abbado che si appezza per i movimenti corali più che per i singoli. Grande successo, con ovazioni per Nucci, Pirozzi e, ovviamente per Nello Santi. Recita del 16 novembre.
GianFranco Previtali Rosti
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