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Cronaca e AttualitàL'Editoriale del Direttore
Home›Cronaca e Attualità›Omofobia o alibi?

Omofobia o alibi?

By Sabrina Antenucci
30 Settembre 2015
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La notizia del giorno pare essere la discriminazione di un preside di una scuola professionale cattolica di Monza, che ha esiliato un ragazzo di 16 anni in corridoio perché gay. Questo, almeno, viene riportato da tutti i siti di informazione. Approfondendo la notizia si scoprono un paio di dettagli che i titoli non lasciano nemmeno immaginare. Proviamo ad elencarli, prima di prendere posizione.

Mercoledì scorso un ragazzo di 16 anni posta su un social network una foto che lo ritrae con un coetaneo, entrambi nudi dalla cintura in su, mentre simulano un atto sessuale.

I compagni di classe vedono la foto, la segnalano al social network e riportano la notizia ad un professore

Il preside, informato dell’accaduto, chiama il ragazzo fuori dall’aula e telefona alla madre e all’assistente sociale.

Né la madre né l’assistente sociale rispondono

Il patrigno scrive una mail di protesta per l’allontanamento dall’aula al preside, che non gli risponde poiché l’uomo non è legalmente il tutore del ragazzo e non può quindi richiedere informazioni in merito

Madre (che si è resa irreperibile per la scuola) e patrigno contattano un giornale locale per denunciare l’accaduto, senza informare le autorità

Governo, associazioni e simili insorgono contro il preside.

Ora, dato che oramai viviamo la psicosi omofoba, per cui se vedi un omosessuale fare qualsiasi cosa e lo accusi sei razzista, immaginiamo che il ragazzino in questione fosse una ragazzina. Proviamoci, per un attimo.

La vicenda diventa: una ragazzina di 16 anni posta una foto su Instagram seminuda con un coetaneo con il quale simula un rapporto sessuale. I compagni segnalano la foto, avvisano il professore, spargono la voce; in men che non si dica la scuola inizia a prendere in giro la ragazzina, dandole della poco di buono e della praticatrice di fellatio. Il preside la chiama fuori dall’aula per evitarle battute e situazioni di disagio e cerca madre e servizi sociali per cercare di risolvere la situazione alla radice. Vi sembra verosimile? A me sì. A questo punto lo scandalo sarebbe minore, suppongo. In realtà insorgerebbero le associazioni femministe, perché se il protagonista fosse un maschio etero tutto questo non avrebbe luogo, ma il preside tutto sommato se la caverebbe.

C’è un fatto, però, che secondo me balza all’occhio: nessuno si preoccupa del fatto che un ragazzo (o una ragazza) di 16 anni posta foto seminudo simulando un atto sessuale. La prima cosa da denunciare, secondo me, sarebbe un problema in famiglia. Se mi fosse venuto in mente di fare una foto di quel tipo e di distribuirla in giro per l’Istituto che frequentavo (non c’era Instagram all’epoca) credo che i miei genitori mi avrebbero in breve tempo indirizzato verso una professione originale: la collaudatrice di sedie a rotelle. Dubito che l’avrei passata liscia, e posso garantire che la mia famiglia non fosse solita usare la violenza per risolvere le diatribe famigliari (né altro, in effetti. Mai preso uno schiaffo in vita mia). Ma tant’è, c’è l’evoluzione. Oggi a 16 anni si postano foto che metterebbero in imbarazzo un 30enne con una disinvoltura estrema, e nessuno – dico nessuno – sembra trovarlo strano. Interessante evoluzione sociale.

La madre, poi, viene contattata dalla scuola e non risponde.

Sui servizi sociali sorvolerei, se siamo tutti d’accordo.

Il preside ritiene di allontanare il ragazzino, che nel frattempo diventa l’obiettivo di prese in giro da parte di tutti e cosa succede? La colpa è sua. E’ un razzista omofobo. Da deferire alla corte marziale della pubblica istruzione.

Sono l’unica a pensare che in questo racconto ci sia qualcosa che non torna?

Forse i professionisti dell’informazione farebbero bene a smettere di cavalcare il trend dell’omofobia e ad iniziare a dare valore aggiunto alla ricostruzione di una società un po’ più sana; e tutti noi faremmo meglio a leggere le notizie ed elaborare le informazioni. Ma soprattutto, associazioni gay e politici potrebbero occuparsi di cose più importanti – tipo le unioni civili – e potrebbero iniziare ad insegnare ai sedicenni che il fatto di essere gay non li autorizza a scollegare il cervello.

Con buona pace delle mamme troppo impegnate a rispondere alla telefonata di un preside, ma non a quella di un giornalista, che pensano di proteggere i loro pargoli nascondendoli sotto la coperta del razzismo.

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