Referendum: Milano s’è desta

Milano s’è desta, dovrebbe essere questa la parola d’ordine della giornata. Record di presenze ieri per il referendum che ha chiamato alle urne gli italiani e il cui risultato ha creato un vero e proprio terremoto politico: il 71,72% degli aventi diritto ha votato.
Controcorrente, come la vera Milano è sempre stata; in un’Italia in cui il no costringe Renzi alle dimissioni a Milano il 51,13% vota sì. Andando a leggere i dati, in effetti, non si trova nessuna sorpresa.
Il sì vince in zona 1, all’interno della cerchia dei Bastioni. Quella della Milano bene, quella della Milano che la crisi l’ha sentita, sì, ma che non ha probabilmente mai dovuto saltare le rate del mutuo, fare i conti con i cordoni serrati delle banche; la Milano che non si è mai chiesta se le bollette sarebbe riuscita a pagarle quel mese. Lì vince il 64,79%. No secco nei municipi della Milano delle “persone comuni”, quelle che vivono una realtà un po’ diversa.
La Città Metropolitana e la Regione seguono il trend della nazione: il no vince con il 52,6% nel primo caso e con il 55,5% nel second; è record di affluenza anche in Lombardia, dove hanno votato il 74,67 degli elettori.
Una sorpresa arriva dai dati di genere: la maggioranza degli elettori che si sono recati alle urne sono donne.
Com’era prevedibile oggi è la giornata dei commenti. Dei politici, che esultano in maniera simile da destra a sinistra; dei cittadini, che gioiscono come se l’Italia del calcio avesse vinto i mondiali, o si lamentano come se un esercito di cavallette fosse ai confini dello stivale, pronto a devastare i raccolti e lasciarci senza provviste per il secolo a venire.
Una cosa appare chiara dalle prime ore degli scrutini: ha vinto un’Italia che non ha smesso di credere nella democrazia. Hanno vinto le persone, gli italiani. Non ce lo aspettavamo, forse; io di sicuro non me lo aspettavo. Non credevo che saremmo stati in grado di unirci, indipendentemente dalle ideologie politiche o dalle indicazioni dei leader, per gridare la nostra volontà.
Eppure i segnali c’erano eccome, bastava guardarli. L’Italia si è unita per dire no alla discriminazione, ad esempio, quando si volevano impedire le unioni civili, pochi mesi fa. Un oceano di persone si era riversato per le strade indipendentemente dal proprio credo politico, religioso, dal proprio orientamento sessuale e dalle proprie origini. Non ci eravamo accorti che, silenziosamente, le persone avevano smesso di essere parte di una fazione o dell’altra ed erano diventate popolo italiano.
Avevano gioito i partiti di sinistra, parlando di successo e rinnovamento; avevano gridato i partiti di destra, accusati dagli osservatori di essere incapaci di creare una nuova realtà e un nuovo schieramento che potesse governare il Paese. Gli stessi che oggi ringraziano e dispensano consigli, che cantano vittoria; gli stessi che oggi ricordano l’importanza del 40% di Renzi, portato a casa – nel bene e nel male – da solo. Non vorrei sbagliare, ma credo che quel 40% altro non sia che un’altra faccia della stessa medaglia: gli italiani si sono risvegliati. Il 60% – poco meno – ha dichiarato che la costituzione non si tocca o il governo non può trasformarsi in dittatura e il 40% – poco più – ha dichiarato che vuole cambiare le cose, in un modo o nell’altro.
Non è stato un voto a favore di Renzi, è stato un voto a favore di un’idea. E quando le idee si muovono nulla può restare uguale. Ma i politici lo avranno capito?
Latest posts by Sabrina Antenucci (see all)
- Il coronavirus è in salotto - 10 Aprile 2020
- Nasce Cultura Identità, mensile fuori dagli schemi - 2 Febbraio 2019
- A che servono questi quattrini?, all’EcoTeatro - 1 Febbraio 2019
Irene Antonucci, il nuovo sorriso della tv italiana
Sylvie Lubamba, solidarietà a Salvini
Risotto al burro e timo con tartufo bianco
Cambiare la nostra idea di cambiamento