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MusicaSpettacoliTeatro
Home›Spettacoli›Musica›Riccardo Chailly riporta La Gazza Ladra alla Scala

Riccardo Chailly riporta La Gazza Ladra alla Scala

By Redazione
1 Aprile 2017
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La Gazza Ladra, trentunesima opera di Gioachino Rossini, presentata alla Scala con enorme successo il 31 maggio 1817 ma non più rappresentata al Piermarini dal 1841, torna a Milano per otto recite dal 12 aprile al 7 maggio con la direzione di Riccardo Chailly, la regia del Premio Oscar Gabriele Salvatores, scene e costumi di Gian Maurizio Fercioni e un cast che raccoglie le migliori voci della nuova generazione rossiniana: Rosa Feola come Ninetta, Edgardo Rocha come Giannetto, Paolo Bordogna come Fabrizio Vingradito, Alex Esposito come Fernando Villabella, Serena Malfi come Pippo e Teresa Iervolino come Lucia, insieme al Gottardo autorevole di Michele Pertusi. L’omaggio al bicentenario dell’opera si inscrive nel progetto di portare al Piermarini il repertorio italiano nella sua interezza a partire dalle opere che hanno avuto qui la loro prima rappresentazione assoluta.

“Il successo fu talmente enorme, il lavoro suscitò un tale furore che ad ogni momento il pubblico in massa s’alzava in piedi per coprire Rossini d’acclamazioni”: così Stendhal, presente alla prima, racconta l’accoglienza dei milanesi per un’opera senza dubbio anomala nella produzione rossiniana. E il successo durò a lungo, se nelle diverse riprese scaligere fino al 1841 la Gazza Ladra conta ben 158 rappresentazioni. Dopo gli anni napoletani il compositore era deciso a riconquistare il favore dei milanesi con un lavoro di grande effetto musicale e drammatico, innovativo fin dalla celebre ouverture aperta da due rulli di tamburi militari. Un suono inedito, che scandalizzò i musicisti dell’orchestra (si dice che un violinista andasse dicendo che bisognava assassinare il compositore; curiosamente analoghi dubbi accolsero in principio la decisione di Toscanini di aprire con la celeberrima ouverture il concerto inaugurale della Scala ricostruita nel 1946), e che preludeva a un racconto i cui le parti comiche cedevano il passo a una vicenda di drammatico realismo: la storia vera di una giovane domestica condannata a morte per il furto di una posata. Il libretto di Giovanni Gherardini, già condirettore del Giornale Italiano, è tratto dal “mélodrame historique” La pie voleuse di Louis-Charles Caigniez e Théodore Baudouin d’Aubigny (1815), a sua volta ispirato dalla tradizione parigina di celebrare ogni anno nella chiesa di Saint-Jean-en-Grève una “Messe de la Pie” in espiazione dell’errore dei giudici che avevano fatto giustiziare una cameriera per la scomparsa di alcune forchette poi ritrovate nel nido di una gazza.

Nella versione di Gherardini e Rossini, il cui titolo originale doveva essere Avviso ai giudici, la polemica contro gli eccessi di una giustizia selvaggia e gli abusi del potere costituito nei confronti di una popolazione indifesa (“uom maturo e magistrato, vi dovreste vergognar”) riprendeva temi fondanti della cultura illuminista lombarda dai tempi di Pietro Verri, Cesare Beccaria e Giuseppe Parini. Riascoltare oggi la Gazza significa anche ripensare allo stereotipo di un Rossini reazionario in termini estetici e politici, peraltro già ampiamente messo in dubbio in sede critica ed esecutiva. Nel saggio contenuto nel programma di sala Emilio Sala ricorda le parole di Giuseppe Mazzini nella sua Filosofia della Musica: “Rossini ha compìto nella musica ciò che il romanticismo ha compìto in letteratura”. Né compositore di Metternich né edonista estraneo al suo tempo, Rossini mostra ben prima del Guglielmo Tell e quattro anni dopo il coro patriottico dell’Italiana un volto non certo rivoluzionario, ma politico sì, e soprattutto partecipe delle tensioni culturali che attraversavano l’Europa. Figlio di un entusiasta sostenitore dei francesi, cosmopolita per vocazione e per interesse, Rossini si mostra ancora una volta irriducibile agli schematismi storici e critici e firma con la Gazza un capolavoro in cui confluiscono sensibilità e tradizioni diverse in un progressivo incupirsi del colore drammatico, dalla commedia alla scena del supplizio, fino alla liberazione in extremis, nella migliore tradizione dell’opéra à sauvetage.

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