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Home›Food & Design›Cuore di Chef›Simone Ceppaglia, essere chef ai tempi del Coronavirus

Simone Ceppaglia, essere chef ai tempi del Coronavirus

By Massimiliano Bordignon
29 Aprile 2020
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La Puglia è terra generosa, di grandi sapori e di grandi uomini che questi sapori hanno saputo e sanno utilizzare al meglio, con arte e maestria. Sono loro, gli chef (o capocuochi, o headchef nella dizione inglese) a portare in giro per l’Italia e per il mondo il gusto espressione di una cultura millenaria, e la scuola culinaria pugliese si rinnova continuamente, e non rimane necessariamente nella terra d’origine, passando da Angelo Sabatelli ad Antonella Ricci fino a Peppe Zullo, per arrivare a Felix Lo Basso a Milano. Nell’ambito di questo ristretto novero di artisti vale la pena citare Simone Ceppaglia, alle spalle esperienze importantissime, come quella di Executive Chef dell’Ottagono Restaurant and Lounge in Galleria Vittorio Emanuele a Milano, originario di Gioia del Colle, provincia di Bari, dal 2004 all’ombra della Madonnina, cresciuto ‘rubando’ i segreti della cucina della nonna e apprendendo quelli di Sergio Mei al Four Season, trampolino di lancio verso realtà di livello assoluto, sparse in tutto il mondo, ultima delle quali l’isola di Bathala, piccolissimo atollo delle Maldive.

“Ho lavorato a lungo per l’Alessandro Rosso Group”, racconta Ceppaglia a Milano Reporter. “Il 27 aprile di un anno fa ero alle Maldive per un pre-opening di un resort all’isola di Bathala, una piccola isola grande come Piazza Duomo, un locale con 122 dipendenti, di cui otto italiani e davvero un bel gruppo di lavoro in cui mi sono trovato veramente bene. Ora avevo molti altri progetti in corso, ma il Coronavirus ha bloccato tutto. Adesso voglio vedere quali e quanti ristoranti avranno la forza di riaprire. Prevedo un bagno di sangue, i piccoli ristoranti faranno fatica a sopravvivere da soli e senza aiuti concreti”.

Com’è cambiato il ruolo di uno chef con il Covid-19?
“Sta cambiando molto. Il Coronavirus ci porterà ad adeguarci a quello che è un futuro imminente. In realtà toccherà a noi ristoratori adeguare tutto quello che abbiamo costruito fino adesso, dovremo cambiare per esempio l’impiattamento a favore dell’asporto. Un asporto che deve essere di alto livello, ovviamente, anche perché non possiamo negare che durante il trasporto i piatti vengano sballottati e che quindi la presentazione vada in secondo piano. Bisognerà puntare meno sull’impatto visivo a favore di un packaging di livello sempre più elevato, bisognerà fare degli studi in proposito, anche se noi chef dovremo continuare a fare gli chef. Purtroppo cambierà anche la nostra abitudine di andare nei ristoranti, anche se mi auguro che per settembre, con la moda, tutto torni come prima. Per quanto riguarda l’hotelerie le cose possono cambiare come no. In una sala ristorante di un albergo, con tanti stranieri, i clienti potrebbero venire in orari differenti (a seconda delle abitudini ‘nazionali’, ndr), e così, bene o male, si può fare mangiare tutti. Ma anche qui, fino a che non riapriranno gli aeroporti e tutto il resto, sarà difficile capire cosa potrà succedere”.

Lei proviene dalla Puglia. In che modo la sua terra interviene nell’ideazione dei suoi piatti?
“A me piace molto la cucina pugliese, ma cerco di rivisitarla. Per esempio, un piatto che a me piace tanto sono i tagliolini con l’interno della pasta fatto con una purea di cime di rapa. Così ho realizzato dei tagliolini verdi alle cime di rapa con le vongole e la bottarga, o con il ragù di pescatrice o il brodetto di scorfano, aggiungendo delle punte di cime. Si ha così un insieme di tradizione regionale con un tocco personale. Sempre tenendo presente la mia regione d’origine, ecco l’uso dei latticini, essendo io di Gioia del Colle. Per esempio faccio un fiore di zucca ripieno con la stracciatella. Uno dei complimenti più belli che ho ricevuto è stato quando venni chiamato al tavolo da un signore che, dopo la mia gallinella scottata con il suo brodetto e le cime di rape saltate con aglio, acciughe e peperoncino, mi disse: ‘Ho mangiato questo piatto in piazza Duomo a Milano, ma in realtà mi sentivo in Puglia in un ristorante vicino al mare’. Maestro Mei mi ha insegnato a mantenere i prodotti nella maniera più naturale possibile, senza tanto elaborarli”.

In città come Milano sta prendendo piede, proprio a causa della presenza del Covid-19, l’idea di crearsi in casa il proprio piccolo orto. Quali erbe consiglia di piantare sul proprio balcone?
“Io sono un amante delle erbe aromatiche, per me non ci può essere un piatto che non sia abbinato a un’erba. Le erbe aromatiche sono le prime piante che una persona deve avere sul suo balconcino, poi ovviamente dipende dalla capacità dei vasi in cui piantare ciò che si vuole. Ma si può piantare di tutto, per esempio il pomodorino e il ciliegino danno risultati abbastanza in fretta, in poche settimane, ma anche le fragole. Anche l’insalatina ha bisogno di poca terra e poco spazio. Si fa prima a dire cosa non si possa piantare: le angurie e le zucche, che hanno bisogno di tanta terra. Personalmente consiglio qualcosa che sia funzionale alla nostra cucina”.

Dal 2004 vive a Milano, però lei è di origine pugliese. Ha mai pensato di realizzare un piatto che unisca le due tradizioni?
“Una volta avevo fatto un risotto con il Primitivo di Manduria, la burratina e un po’ di rucola. Ho deciso di cambiarlo, realizzando un risotto mantecato con la burratina e un po’ di parmigiano, con una riduzione di Primitivo di Manduria, con un pesto di rucola cui ho aggiunto la polvere di peperone crusco con le zeste di limone caramellato. In questo modo ho unito varie tradizioni regionali, il risotto con la mia terra, per un piatto che è piaciuto tanto e ha avuto ottimi risultati. La realtà è che la cosa più bella che ho imparato in questo lavoro è quella del ‘condividere’. Tutti i cuochi hanno questa cosa del trasmettere agli altri, vale anche per chi lavori in una mensa, ovvero il rispetto per il cibo, che deve essere sempre presente, come la capacità di non sprecarlo, specie in momenti terribili come questi”.

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