MARGINI – Spargi d’amaro pianto…

È disdicevole o ammirevole che Federica Mogherini, Alto Rappresentante per la Politica Estera e la Sicurezza Comune dell’Unione Europea, sia scoppiata in lacrime il giorno degli attentati di Bruxelles, mentre lei si trovava in visita ufficiale ad Amman e stava riferendo ai giornalisti insieme ad un esponente del governo giordano? Io propendo per il secondo aggettivo, ed ho trovato abbastanza lunari, comunque la si guardi, le polemiche di Giorgia Meloni, Guido Bertolaso ed altri.
È il caso di sottolineare come non si trattasse di una forma di cordoglio circostanziale, e nemmeno di una commozione generica o astratta (sul tipo di quella che manifestò Elsa Fornero al tempo della riforma delle pensioni). La reazione della Mogherini è quella di una persona che vive un’angoscia diretta: Lady Pesc (come si chiama in europeese) deve avere ricevuto, come tutti, notizie frammentarie e confuse, non può essere certa dell’incolumità dei suoi familiari, dei suoi amici, dei suoi collaboratori. In queste condizioni deve essere già stato tanto, per lei, riuscire a svolgere per intero la sua dichiarazione.
Ancor meno persuasivo, nella mia opinione, è l’argomento “simbolico”, legato al dovere e all’onere di mantenersi forte e risoluta per non dare al mondo (e ai terroristi) una sensazione di debolezza, non manifestare uno sgomento che poteva suonare gratificante o addirittura incoraggiante per i fondamentalisti. Tornerò su questo punto, ma prima va risolta la questione preliminare del giudizio che diamo delle lacrime, del pianto, della commozione.
Nel bel libro di Matteo Nucci Le lacrime degli eroi (Einaudi 2013) si spiega come il mondo della Grecia classica abbia due atteggiamenti distinti rispetto alle lacrime: diffuse e pienamente legittimate nei poemi omerici (Odisseo entra in scena nel suo poema, al libro IV, raffigurato in lacrime mentre guarda il mare di Ogigia), diventano inopportune e da celare in epoca successiva, specie ad opera di Platone, che nella Repubblica statuisce che i governanti debbano mostrarsi scevri da ogni emozione, mossi esclusivamente da intelletto e sapienza (per cui è motivo di biasimo e di disistima il pianto dirotto di Pericle per la morte del figlio Palaro, stroncato dalla peste). L’imperturbabilità dei filosofi accompagna in qualche modo la neutralità delle istituzioni, edifica la pòlis come grande corpo virtuale mosso e sostenuto dall’intelaiatura delle leggi, non come confuso assembramento di individui preda delle loro passioni.
L’idea che il potere debba in qualche modo trasumanarsi, assumere un’esistenza diversa e distinta rispetto alla carne e al sangue degli individui che lo rappresentano ha indubbiamente molte buone ragioni: il rovescio della medaglia è che può esserci una ferocia senza emozione alcuna, una tirannide del tutto scevra di animosità o passione. Se il dittatore ugandese Idi Amin Dada si dice divorasse i suoi oppositori, gli efficienti burocrati della Shoah ed i pianificatori delle purghe e dei gulag mandarono a morte milioni di persone senza –probabilmente- un solo palpito d’odio.
Come che sia, in età post-moderna la riflessione è sempre divisa: Borges, ad esempio, depreca la miserabile abitudine del pianto (in una delle poesie di Elogio dell’ombra), ma Michael Ende, nella Storia infinita propone quello che potremmo definire il “lodo Bastiano Baldassarre Bucci”, che è il bambino protagonista del romanzo. Nel meraviglioso apologo dello scrittore tedesco Bastiano salva il magico reame di Fantàsia, che rischia di scomparire perché i bambini non hanno più immaginazione. Ma in quel mondo si immerge, indotto ad abbandonarsi al desiderio fino a perdere la memoria di sé.
La sua fiaba prende così una brutta piega, al punto che si ritrova a svolgere il lavoro miserrimo di scavatore nelle Miniere dei Ricordi, in cui si traggono dalla roccia lastre recanti immagini perdute, smarrite, dimenticate. Nel vedere il viso di suo padre, di cui ha perduto ogni nozione, Bastiano piange, e i buffi personaggi del reame immaginario, guardandolo, parlano sbalorditi della “Acqua della vita narrata nelle leggende”. Ecco, forse le lacrime, uno dei liquidi che, come il sudore, il sangue, lo sperma, accompagnano le azioni umane, sono l’unica cosa che riconnette con il proprio sé, con il proprio passato e con il comune destino degli uomini. Sì che nell’Iliade Priamo e Achille, il potente sovrano e l’invitto guerriero, il Troiano e l’Acheo, piangono insieme, uno pensando ad Ettore e l’altro al diletto Patroclo. L’unità delle lacrime è più forte della divisione dei motivi che le muovono.
In conclusione, avevo promesso di tornare sulla valenza simbolica delle lacrime della Mogherini, simbolo del dolore d’Europa e come tali colpevoli di involontaria intelligenza con il nemico. Capisco le ragioni di chi muove quest’obiezione: la guerra (tale è la minaccia globale della guerra civile islamica) prevede retoriche trionfalistiche e baluardi di giovani petti, non strazio e lamenti. Il pianto di Ecuba è per gli sconfitti Dardani, non per i Greci conquistatori. Devo dire che preferisco la forza di chi manifesta sgomento ma sa tornare al suo posto alla burbanza gradassa di chi vaticina improbabili vittorie e concretissimi stermini. Ma è questione di gusti.
Peccato però che soffermarsi su questo aspetto impedisca di cogliere la plastica valenza simbolica di un altro momento. Quando la ministra europea e cristiana Mogherini non riesce a reggere al dolore e all’angoscia, la consola il ministro giordano arabo e mussulmano, in un impacciato tentativo d’abbraccio che è di grande tenerezza e verità. Così lontano dall’odio feroce dei fondamentalisti da indurre la suggestione che sia stato il modo in cui Dio (non importa sotto quale nome eserciti) abbia voluto rimarcare con un’immagine la distanza siderale fra quanti presumono di agire in suo nome seminando morte e terrore e l’unico vero comandamento che Egli abbia inteso impartirci: amatevi gli uni con gli altri, come io ho amato voi.
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