Strepitose Liaisons dangereuses di Carmelo Rifici

Uno spettacolo di pure emozioni teatrali è in scena al Teatro Elfo Puccini: Le relazioni pericolose, produzione LAC Lugano Arte e Cultura. Il regista Carmelo Rifici, con Livia Rossi, elabora un testo drammaturgico tratto da Les liaisons dangereuses di Pierre Choderlos de Laclos – romanzo epistolare pubblicato nel 1782 – riduce la galleria dei personaggi della vicenda, evidenziando in maniera ancor più feroce e drammatico il “gioco al massacro” della Marchesa di Merteuil e del Visconte di Valmont.
In queste Liaisons – abbandonato ogni cotè galante e incipriato della fonte originale – il soggetto mostra il lato scabroso della vicenda vissuta dai due contendenti, completamente nudi nella loro amoralità. Si slanciano in un parossistico gioco avvelenato che non tiene tanto conto di schermaglie o sentimenti umani (intrigo, vendetta o gelosia, che sia), ma procedono in sfrenatezze di pensiero e arditezze al confine col sacrilegio di concetti empi: un nichilismo che urla la propria rabbia al Cielo.
Vero è che, già nel romanzo di Laclos, quasi tutti i personaggi sono da compiangere, prigionieri di un sistema da cui non hanno la forza di sottrarsi: la Merteuil di sfuggire alla condizione femminile del tempo, avvoltolandosi nella perversione e nell’ipocrisia. Valmont che si rende conto che c’è altro oltre al codice di comportamento libertino per gestire i rapporti umani e la Tourvel non riesce a decidere di vivere per sormontare la sua pena, amando senza colpevolizzarsi.
Questa claustrofobica situazione è perfettamente esemplificata dall’impianto scenico ideato dallo stesso Carmelo Rifici con Pierfranco Sofia dove il disegno luci – avvolgenti e intriganti- di Giulia Pastore unito al progetto visivo di Daniele Spanò, acquista una pregnante forza e validità: un luogo angusto e sospeso nello spazio e nel tempo, scena formata da pochi elementi, statici, ideale ricetto del cuore. Perfetti i simbolici costumi di Margherita Platè. La dissociazione schizofrenica dei protagonisti è sottolineata dal disegno sonoro di Federica Furlano (presente in scena) a esemplificare uno scandaglio profondo della complessità e natura delle anime in scena: microfoni quali amplificazioni dei pensieri dei personaggi.
Distillato fascino di “lucidi” e delle gocce che vi cadono; intelligente uso della tecnologia, fusa nella drammaturgia del testo. Gioco di scherma, ché tutto il testo è una schermaglia verbale e amorosa in punta di fioretto. Scandita da profonda significanza la regia di Rifici, i cui gesti e movimenti rimandano continue vibrazioni (anche nel prendere un microfono da terra) ha lucidamente scoperto il drammatico e orgiastico ordito del romanzo di Choderlos de Laclos, arrivando all’esplicita rappresentazione di ogni perversione mentale e dell’animo.
Eccellenza di spettacolo merito poi dell’omogeneità del livello della compagnia. Elena Ghiaurov era una Marquise de Merteuil fiera e dal cinismo sfrenato ben espresso in taglienti recitatavi e vocalmente pur spinta in alto, si mostra gelida mantide religiosa che sbrana il “compagno” prima di distruggere se stessa. Raggiunge l’apice della sua interpretazione, momento sublime di fermo statico, nella bellissima pagina (lettera scritta dalla Merteuil a Valmont) in cui De Laclos dipinge “il sentire” alla Marchesa: “Non avevo scelta, vero? Sono una donna…. Le donne sono obbligate ad essere molto più abili degli uomini.” Edoardo Ribatto presta al Vicomte de Valmont una poliedricità di dizione, usando la voce in maniera suadente e coloristica di tutte le sfumature, ma anche nella partecipe interpretazione. Disilluso e un po’ sottomesso alla Marchesa, (in fondo la vera natura dominante) si segnala nel drammatico scontro tra le due anime nere…e ritorna il duello di fioretto.
Monica Piseddu è Madame de Tourvel, varia e coriacea nell’iniziale sicurezza, caparbia nella convinzione del bene e d’incrollabile fede nel perseguire la conversione di Valmont, resta credibile nella repentina migrazione al personaggio dolente con “grida” dell’anima, al dramma della rivelazione del suo amore; accenti deliranti la accompagnano negli attimi che precedono la morte. E’ da lei, nonostante tutto, che arriva un segno di speranza: nella dolente scena che chiude la vicenda, nello struggente finale. Livia Rossi inizialmente tratteggia Cécile de Volanges con moti d’ingenuità e pudori virginali, semplice più che timida, ma che sa come crisalide, mutarsi subito e rivelarsi donna completa, educata dall’amore. Flavio Capuzzo Dolcezza supplisce all’ancor non completa maestria con un entusiasmo impulsivo e giovanile adesione che ben si attaglia al personaggio di Danceny.
Si esce da teatro scossi da questa riscrittura elaborata da Rifici, dove il regista con sapiente scelta dei brani, impagina uno spettacolo di rara e continua tensione che rende in toto la drammaticità del testo di Laclos. Sbalza le pagine in cui accosta peste e teatro, in un parallelismo ardito quanto significante, insistendo sulle potenzialità del teatro, che trova in questa fascinosa prova teatrale vitale via di sopravvivenza. Richiama in continuazione il potere della Parola, la cui fascinazione opera un remuement nella coscienza dello spettatore. Successo caloroso, con sinceri applausi da parte di un pubblico attento e partecipe.
Al Teatro Elfo Puccini di Milano, fino al 5 marzo
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