Suicida sotto al treno, Milano non è una città per vecchi

Non ha un nome. Per ora solo l’età: 83 anni. Si è suicidato presso la stazione ferroviaria di Milano Certosa. Ha visto il treno avvicinarsi. Volontariamente si è steso sui binari, con quella poca forza rimastagli da una vita di lavoro. E chi è nato nel nel 1934 di lavoro ne ha fatto sicuramente tanto. Non erano periodi facili. Cresciuto durante la guerra, chissà dove. Forse al Nord, protagonista di quella crescita meravigliosa che ha contraddistinto gli anni ’50 e ’60 nell’Italia industriale. Le balere, il jazz, le rotonde sul mare, i baci pieni di sabbia e di sale, le vacanze degli italiani, lunghe file di auto che d’agosto si incolonnavano l’una dietro l’altra in maniera sempre uguale eppure felice, conquiste di una insperata ricchezza e voglia di vivere. O forse veniva dal Sud, da quel Meridione che a Milano ha trovato la voglia e la forza di affrancarsi da luoghi tanto belli quanto privi di prospettive.
Pensava alla sua vita mentre il treno arrivava e lui si lasciava alle spalle il passato, sopra quei binari resi bollenti da un’estate tropicale, la sua ultima estate, il suo ultimo giorno, il suo ultimo secondo. Erano le 16.30 di questo lunedì, un pomeriggio silenzioso, Milano comincia a risvegliarsi e lentamente si prepara a rituffarsi in un mondo pieno di moda, aperitivi, belle donne e sguardi ammiccanti. I grilli smettono di cantare in città, gli umani tornano a riempire gli alveari di cemento. L’anziano ha giusto il tempo di lanciare un ultimo sguardo, chissà dove, forse in alto, rivolto verso al cielo, verso i propri cari pensa lui, quelli che non erano più lì a consolarlo dalla propria solitudine, a dirgli di non farlo, perché un anziano è una biblioteca vivente, perché oltre ai tanti dolori, porta con sé anche i ricordi e i sentimenti di un passato che per molti potrebbe valere tanto. Il macchinista lo ha visto troppo tardi. Nessun tempo per frenare, per evitare l’impatto. Le ruote dure del treno che tranciano la carne, la separano dal corpo, dalla vita, da tutto. Non è dato sapere il motivo del suicidio. Povertà? Solitudine? Malattia? Di certo lui non c’è più, e come lui non c’è più quella Milano che ha conosciuto: la sua generazione è stata dimenticata, vilipesa, ridicolizzata. Non è più quell’intraprendente formicaio del dopoguerra. La città della rinascita si è lentamente trasformata in quella dei kebab, delle ‘nails’ dagli occhi a mandorla, dei clandestini che pretendono il pedaggio all’angolo delle strade e del multiculturalismo senza cultura, un luogo che non può essere quello in cui credere di avere realizzato i propri sogni di ragazzo. Si può immaginare l’anziano chiudere gli occhi e pensare a qualche vecchia canzone, magari in dialetto milanese, cantata fra le case di ringhiera. Si può immaginarlo pensare per l’ultima volta agli occhi di lei che lo guardano, un bacio dolce, una risata, un abbraccio, la mamma. Sì, la mamma, perché dicono che è l’ultima cosa a cui si pensa prima di morire. La mamma.
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