Guglielmo Tell e Aida scaldano il Teatro Sociale

Con le rappresentazioni di Guglielmo Tell si chiude al Teatro Sociale di Bergamo Alta la Stagione lirica dei Teatri 2019/20.
L’ultima e monumentale opera composta da Gioachino Rossini, ispirata a una tragedia di Schiller, è stata messa in scena nella versione italiana realizzata nel 1831 (poco dopo il debutto in francese, Opéra de Paris 1829) da Calisto Bassi, per il Teatro del Giglio a Lucca, interprete il famoso tenore Duprez, che in quell’occasione emise per la prima volta il “do di petto”.
Guglielmo Tell è un lavoro di proporzioni imponenti: nell’edizione filologica, senza tagli, si estende a circa cinque ore e mezza, intervalli compresi! Opera In quattro atti, con azioni coreografiche, momenti di danza e scene spettacolari, rappresenta, di fatto, l’atto di nascita del genere tipicamente francese del Grand Opéra. La benemerita Opera Lombardia, sceglie la versione italiana sfrondata opportunamente delle danze; ne risulta comunque uno spettacolo di oltre quattro ore.
È la storia di un popolo che lotta per la libertà, ma al tempo stesso è quella di un padre che combatte a fianco della sua gente anche per la propria famiglia, riscattando la vita del figlio con un tiro di balestra divenuto proverbiale.
Musicalmente non mancano, accanto a melodie immortali, tipici elementi folcloristici con un trascinante e commovente finale, in perfetto stile rossiniano.
L’allestimento con le scene di Virgile Koering, costumi fantasiosi di Carla Galleri, luci pregnanti di Fiammetta Baldisseri era firmata per la regia da Arnaud Bernard. Il regista legge Guglielmo Tell come una proiezione fantastica operata da un bambino, che si rivelerà poi essere Jemmy: solo, nelle stanze della sua casa, ricrea immaginariamente la vicenda con occhio ingenuo e fanciullesco. Lo spettatore, subito dopo lo spaesamento iniziale, non più obbligato alla”verità storica o di attualizzazione”, entra e vive in questa magia, godendo della modernità di una partitura per ricercare la vera sostanza, insita nell’opera.
Pienamente giustificate allora le licenze sceniche che creano, in palcoscenico, poesia e fascino, operando sempre nel verso della musica e mai subordinandola. Lo spettacolo prende corpo già all’attacco della sinfonia, agita da quelli che poi saranno i personaggi principali, in un ricco interno borghese ottocentesco, dove un enfant gâté legge, appassionandosi e immedesimandosi fino allo spasimo, la storia di Guglielmo Tell.
Ottima la regia di Arnaud, che si guarda bene dal farne uno spettacolo realistico a valorizzare il contesto politico, ma preferendo una materializzazione di sogno fanciullesco, per render giustizia dei contenuti sentimentali della musica e del libretto.
Trasposizione scenica “fantastica”, realizzata con immaginifica costruzione a vista di scene con elementi naive (barchette di carta, scale, nuvole di bambagia…); regia marcatamente sognante che sfrutta la tecnica cinematografica del ralenti in gustosi tableaux vivants.
Guglielmo Tell ha il piacevole timbro di Gezim Myshketa pur senza vantare grandi armonici è autorevole nei centri, dotato di buon fraseggio, tenta anche mezze voci; mostra però difficoltà nella zona superiore, opaca, e gli acuti oscillanti e senza squillo. Intenso Arnoldo di Giulio Pelligra, voce dotata di ottimo squillo, molto bene nella prima aria “Ah Matilde” (ma senza variazioni nella ripresa) mentre la ben più impegnativa aria del IV atto, O muto asil del pianto, pone problemi di legato, anche qui senza variare gli accenti; la cabaletta lo mette un po’ in difficoltà per le continue riprese di fiato.
Ottimo interprete, per la tensione che imprime al fraseggio, infiammato e palpitante, pre-romantico nell’intensità quasi febbrile. Matilde era il soprano Marigona Qerkezi, voce lirica, corretta nelle agilità con qualche preziosa filatura. Jemmy, Barbara Massaro dal timbro caldo e squillante, “motore” dello spettacolo, aiutata da un fisico minuto a delineare il ragazzo sbarazzino, alla Gian Burrasca. Edwige, dal buon strumento vocale, era Irene Savignano.
Melchtal dal timbro inizialmente cavernoso quello di Pietro Toscano; a Gualtiero Farst prestava il pieno timbro Davide Giangregorio, generoso il pescatore di Nico Franchini (ma non immaschera gli acuti, che suonano aperti), buono Leutoldo di Luca Vianello, pessimo Rodolfo di Giacomo Leone, voce corta e afona, così come poco significativo il Gessler di Rocco Cavalluzzi.
Ottimo il Coro di OperaLombardia mentre l’Orchestra dei Pomeriggi musicali non era sempre irreprensibile, specialmente gli ottoni. Direzione priva di scavo di Jacopo Brusa, poco fantasiosa nella concertazione e nella mancanza di variazioni delle arie, con scollature fra buca e palcoscenico.
Pubblico molto attento e partecipe, che ha decretato a tutti gli interpreti una festosa accoglienza.
Gli spettacoli di “Lirica e Concerti” della Stagione dei Teatri promossa dalla Fondazione Teatro Donizetti erano iniziati con Aida di Giuseppe Verdi, un titolo operistico che mancava dai palcoscenici orobici da decenni.
Un’attesa che giustificava ampiamente il clima di curiosità per uno dei titoli più amati e conosciuti, con l’occasione di vedere un allestimento già diventato storico. Una coproduzione di Opera Lombardia e del Teatro Regio di Parma della messinscena creata nel 2001 da Franco Zeffirelli per gli spazi ridotti del Teatro di Busseto, in occasione del centenario verdiano; allestimento che da allora ha girato tutti i continenti, diventando subito mitico.
Per questa nuova edizione la regia è ripresa da Stefano Trespidi, i costumi originali di Anna Anni ripensati da Lorena Marin; Fiammetta Baldiserri cura le luci e Luc Bouy la coreografia.
Inutile ricordare la trama dell’opera, ambientata in un Egitto immaginario e intriso di italianità in cui si mescolano, in teatrale equilibrio musicale fra intimismo e scene corali, il tragico triangolo amoroso tra Radamès, la schiava Aida e la figlia del faraone Amneris, senza dimenticare temi cari al compositore, quali patria e famiglia.
Sul podio, alla guida dell’Orchestra dei Pomeriggi musicali, l’effervescente Francesco Cilluffo, una fra le più interessanti bacchette di oggi, che fin dal Preludio impone in maniera pregnante la sua cifra stilistica. Crea una tensione emotiva, coinvolge buca e palcoscenico in una narrazione discorsiva, che sa alternare a limpide raffinatezze, toni intensi e solenni esaltando la tavolozza timbrica della partitura, resa dalla compagine orchestrale in maniera eccellente.
Maria Teresa Leva era un’Aida lirica dal timbro caldo, i centri suonano un po’ vuoti (e il fraseggio in questa zona ne risente) ma l’ottava superiore è gradevolissima. Capace di preziose sfumature, riesce sempre credibile nel tratteggio del personaggio; commossa e partecipe ma temperamentosa quando necessario. Sfuma con intensità interpretativa ”O cieli azzurri”, ed è commovente lungo tutto il III atto, a differenza del partner, un Radames stentoreo, che canta tutto sul forte.
Samuele Simoncini, è un Radamès caratterizzato da gran suono e ottimo squillo (ma la voce difetta di legato e l’intonazione non sempre impeccabile); troppo preoccupato di cantare per pensare al fraseggio, che risulta generico, e spinge troppo sulle frasi, delineando un personaggio monocorde.
Cristina Melis era un’Amneris vecchia maniera, dagli accenti veristi, con abuso di suoni poitrinè e sguaiati, con acuti non controllarti e spinti.
Leon Kim prestava ad Amonasro un timbro pieno e sonoro, ma dal fraseggio limitatamente incisivo, pur sforzandosi di essere credibile.
Ramfis di Fabrizio Beggi si segnalava per la voce profonda, pastosa e ricca di armonici. Francesco Milanese era un Re efficace, buona la Sacerdotessa di Teresa di Bari e insufficiente il Messaggero di Alessandro Mundula. Buona la prestazione del Coro di OperaLombardia, preparato da Diego Maccagnola; brutta e francamente ridicola la coreografia di Luc Bouy.
L’allestimento, pur in miniatura, non rinuncia alla tipica grandeur zeffirelliana: l’horror vacui resta la sua cifra stilistica, rendendo alla maestosità il giusto omaggio, ma i cambi di scena sono troppo lunghi.
Geniale l’intuizione della marcia trionfale “vista”da dietro le spalle dell’acclamante popolo. Fascinoso e ricco d’atmosfera il III atto.
Splendidi i costumi, soprattutto quelli barbarici.
Caloroso successo per tutti.
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