The Ranch e quella strana aria di casa

Che ci crediate oppure no, vi sono parecchie analogie tra il Colorado e le Dolomiti bellunesi. In quella parte d’America, a dire la verità, non ci sono ancora stato, ma ho avuto la fortuna di nascere proprio ai piedi di queste nostre montagne meravigliose. L’analogia, che in tutta onestà mai mi sarebbe venuta in mente, non è nata certo per caso. La ho scoperta guardando The Ranch, la nuova sit-com di Netflix con Ashton Kutcher e Sam Elliott, disponibile per tutti gli utenti del mondo già da qualche settimana.
La serie TV racconta le vicende di Colt (Kutcher), un trentacinquenne che da ragazzino sembrava destinato a una carriera fantastica nel mondo del football ma che, quindici anni dopo, si ritrova a dover guardare in faccia la propria vita, mettere da parte il suo sogno nel cassetto e decidere cosa fare da grande. Il tutto sotto gli occhi di suo padre Beau (Elliott, che sembra essere tornato il simpatico cowboy che chiacchiera con il drugo nel grande Lebowski), un uomo tutto d’un pezzo che lavora da sempre nel ranch di famiglia in compagnia dell’altro figlio Rooster (Danny Masterson, con cui Kutcher aveva lavorato in That ’70s Show, altra serie di successo) e che non nasconde il suo scetticismo nel veder tornare il figliol prodigo senza niente per le mani. Le “quote rosa” del cast sono garantite da mamma Maggie (Debra Winger), che offre tutto l’amore del caso ai suoi figli ma ha un rapporto molto complicato con il marito (i due non vivono insieme sebbene non siano divorziati), da Abby (Elisha Cuthbert), la ex-fidanzata delle superiori con cui Colt mantiene un legame speciale, e da Heather (Kelli Gross), la nuova fiamma di Colt. Tremendamente giovane e tremendamente simile ad Abby ai tempi delle scuola.
The Ranch è, di primo acchito, una sit-com classica. Puntate da una ventina di minuti, risate di sottofondo (orribili! Quando la smetteranno di inserirle?) e tre location in cui si svolgono quasi tutte le scene (dentro la casa, nel portico e nel bar gestito dalla madre). Niente di innovativo o di costoso, insomma. Ricorda molto il setup di Two and a half man (non a caso tra i produttori troviamo due dei creatori di questo show: Don Reo e Jim Patterson), sia nei dialoghi che nella sua realizzazione. Per questo, proprio come per Two and a half man, lo inserisco nella categoria “programmi da mettere in sottofondo mentre si fanno altre cose poco impegnative”.
The Ranch non è comunque una serie da sottovalutare. Recitata bene e con un umorismo buono per tutti, non rinuncia a momenti più profondi, con le vicende dei personaggi che si mescolano con i loro caratteri. Vi ritroverete ad emozionarvi ed a ridere nel vedere Colt diventare grande e suo padre cercare di ricostruire il rapporto con sua moglie. Senza dimenticare Rooster, che meriterebbe un Oscar solo per il fatto che si mette a frequentare la madre di Heather, la nuova ragazza del fratello.
Memorabili, poi, i dialoghi tra Beau ed il vecchio veterinario sordo Dale (interpretato dall’attore texano Barry Corbin), così come il cammeo di Jon Cryer (l’Alan di Two and a Half man) che mette in piedi un siparietto esilarante con Ashton Kutcher per una vecchia partita di football di cui era l’arbitro.
Per quanto mi riguarda – e da qui l’analogia con la mia terra – non ho potuto evitare di notare la praticità dei protagonisti di The Ranch, persone buone d’animo e concrete nella vita di tutti i giorni. Il loro rispetto per il lavoro, l’attaccamento alla famiglia (per quanto il suo concetto possa evolvere nel tempo), il rapporto stretto con la natura e con la terra, l’amore per lo sport (almeno da giovani) e per il sacrificio. Senza dimenticare quel modo burbero di amare, tanto indistruttibile quanto poco flessibile, ed il bar sotto casa sempre con le stesse facce sedute sugli stessi sgabelli.
Uno spaccato di paese che, America o Italia che sia, finisce sempre per profumare di casa.
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