Umberto Eco, un funerale che non gli sarebbe piaciuto

Umberto Eco è morto, viva Umberto Eco. Ci sono però state troppe distonie ai suoi funerali, che ne hanno fatto un evento perfino grottesco, se non volgare, pacato solo vagamente da alcune note, è il caso di dirlo, liete, come quelle del clavicembalo, purtroppo solo registrato, che ha aperto la cerimonia funebre del grande semiologo (al termine del pezzo verrà spiegato il significato della parola), filosofo e scrittore italiano (ma se ne potrebbe scrivere dell’altro).
C’era molta gente fuori dal Cortile della Rocchetta del Castello Sforzesco, dove si è svolta la cerimonia funebre laica. Molta poi è stata fatta entrare, quanta ne potesse contenere l’angusto spazio. C’era Elisabetta Sgarbi, cui non è parso vero di poter sventolare in diretta tv l’ultimo libro scritto dal pensatore alessandrino, pubblicato dalla casa editrice da lui stesso creata con la Sgarbi, “La nave di Teseo”. C’era gente con “Lotta Continua” in tasca, mesta e triste come fosse morto un parente stretto. C’era la sinistra radical chi e quella poco chic, quelli che hanno letto “Il nome della rosa” e quelli che l’hanno visto solo in tv, quelli che la rosa la portavano appuntata sul petto e quelli che “un altro grande che se ne va”, quelli che “ma chi è morto?” e quelli che sul web si sono affrettati a sciorinare i vari “RIP”, “Un anno maledetto”, “Ti sia lieve la terra” e così via. C’erano soprattutto tanti, troppi telefonini, o smartphone, che si dir si voglia. Gente che si taggava, che si ‘selfava’ e che magari si citava su un qualsiasi ‘social’ per affrettare a far conoscere al mondo la propria… ‘posizione’. Un lampeggiare informatico che avrebbe ferito nell’animo un uomo legato alla cultura classica come Eco.
C’era anche Carlo De Benedetti e c’è stato persino qualcuno che, chissà perché, gli ha chiesto un parere. C’erano i corazzieri e il sindaco di Milano, Giuliano Pisapia, muto davanti ai giornalisti proprio come il feretro di Eco. Semplice, liscio, un legno che sembrava pronto per una fossa comune. Adatto per chi, come lui, aveva scritto un pezzo impareggiabile su come prepararsi alla morte: “L’unico modo di prepararsi alla morte è convincersi che tutti gli altri siano dei coglioni”. Parole sue. Ed ecco lì, maestosamente spiegato, in ogni suo dettaglio, l’Eco-pensiero, srotolarsi e svolgersi attraverso le frasi e i gesti di commiato e di consenso, scritte da tempo e da tempo usati, per Eco e per tanti altri.
Un uomo vagamente po’ altezzoso, arrogante, livoroso, come lo fu, in modo perfino sguaiato, nei confronti di Silvio Berlusconi. L’italiano medio ricorderà paradossalmente Eco, studioso del linguaggio, per la sua incapacità di porsi di fronte all’uditorio.
Pochi sanno invece che fu tra i primi grandi ammiratori di Woody Allen, e anche che fu anima della rivista “Linus”, avidissimo lettore di fumetti, primo fra tutti “Dylan Dog”, oltre che caro amico di Andrea Pazienza, mitico disegnatore di tante storie italiane.
Fu però anche ‘cattivo maestro’. Nella lettera aperta che un gruppo di intellettuali italiani, Eco compreso, scrisse nell’ottobre 1971, a sostegno dei militanti e dirigenti di Lotta Continua, c’era scritto fra l’altro: “Quando essi (gli imputati, ndr) gridano ‘lotta di classe, armiamo le masse’, noi lo diciamo con loro. Quando essi si impegnano a ‘combattere un giorno con le armi in pugno contro lo Stato fino alla liberazione dai padroni e dallo sfruttamento’, noi ci impegniamo con loro”.
A proposito: la semiologia è una disciplina che studia i segni. A differenza della semiotica, si occupa prevalentemente di linguaggi verbali, o comunque attribuisce al linguaggio verbale un’importanza centrale. Promessa mantenuta.
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