You Were Never Really Here. Joaquin Phoenix come non lo avete mai visto

You Were Never Really Here è finalmente arrivato nelle nostre sale cinematografiche. Il thriller di Lynne Ramsay, acclamato allo scorso Festival di Cannes, disorienta e stupisce. Ma non è un film per tutti.
Un’ora. E’ più o meno questo il tempo necessario per mettere insieme i tasselli del puzzle di You Were Never Really Here. Non certo perché il film sia troppo complesso o raccontato male, ma perché è questo il tempo necessario per conoscere sufficientemente Joe. Il protagonista della storia interpretato da Joaquin Phoenix.
Joe è un uomo tormentato che di mestiere fa il sicario. Vive con la vecchia madre nella stessa casa di famiglia dove, da bambino, aveva subito i maltrattamenti del padre. A quei ricordi terribili si aggiungono quelli degli orrori che ha visto quando era un soldato, e pure quelli di quando era poliziotto e indagava sul traffico di esseri umani. Il fattore comune in tutta quella violenza che gli martella il cervello sono i bambini. Joe, infatti, si è specializzato proprio nel ritrovare adolescenti scomparsi, quasi a voler esorcizzare tutto il male che ha visto e subito. Il film si apre proprio con una scena del protagonista che – alla fine di una missione – si libera di foto, prove e attrezzi vari per tornare a casa dalla madre.
Lynne Ramsey, regista e autore coraggioso della sceneggiatura, mostra l’indole del protagonista poco a poco, quasi spazientendo lo spettatore. Non ne nasconde mai il lato violento e nemmeno il disagio sociale. E proprio quando l’empatia con Joe raggiunge il suo apice, comincia la parte più intensa del film.
In You Were Never Really Here si parla poco. E’ il dramma vissuto dai protagonisti della storia a trasmettere le emozioni più intense. Nonostante le poche battute, tanto Joaquin Phoenix quanto Ekaterina Samsonov sono stati in grado di mostrarci tutto il loro talento. Phoenix, in particolare, offre probabilmente la sua miglior interpretazione in carriera. Emozionanti i suoi sguardi persi nel vuoto, le sue fantasie grottesche, i suoi pugni sferrati con una violenza inaudita. Momenti che Ramsey è bravissimo a valorizzare, utilizzando bene le inquadrature e soprattutto i suoni. Volutamente sparati nelle orecchie dello spettatore ad un volume molto alto, quasi a voler sottolineare gli scatti d’ira del protagonista.
La fragilità di Joe traspare in ogni sua azione. Con la madre, con il capo, quando gioca con le caramelle, quando s’immagina suicida. In particolare, appare evidente in una scena quando canta malamente, disteso sul pavimento della sua cucina. Appena capisce cosa sta succedendo a Nina, la sua missione diventa un modo per dare un senso alla sua vita. La va a cercare, la vuole proteggere. Trova in lei una persona disturbata quanto lui o addirittura di più. Una bambina che ha perso il sorriso, che ha subito violenze sessuali che il regista ci permette solo d’immaginare (per fortuna).
L’equilibrio sottile delle loro vite ormai distrutte, darà loro una speranza per andare avanti. Non importa conoscere la meta, basta avere una ragione per continuare. Un compagno di viaggio che sia come noi e ci accompagni. E in tutta quella violenza capirlo è un sollievo tanto per loro due quanto per lo spettatore.
You Were Never Really Here non può piacere a tutti. E non solo a causa del sangue, la pedofilia e le martellate. E’ un film non lineare, senza un inizio ed una fine precisi. Lento in alcuni momenti, esplosivo in altri. Ma è proprio questa sua capacità di disorientare lo spettatore e contorcergli lo stomaco a renderlo unico.
Certamente siamo davanti ad uno dei film più interessanti dell’anno. Ce lo confermano i sette minuti di applausi ricevuti al Festival di Cannes dopo la proiezione d’esordio. Un privilegio destinato solo ai migliori.
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