Youth: un Sorrentino amaro e ironico, ma soprattutto nostalgico

Oltre 15 minuti di applausi, sono stati un bel successo per Paolo Sorrentino al Festival di Cannes per Youth. Un elogio carico di rammarico ai tempi che furono, quasi un monito oppure mera rassegnazione.
“Fred e Mick sono due amici da moltissimo tempo e ora, ottantenni, stanno trascorrendo un periodo di vacanza in un hotel nelle Alpi svizzere. Fred, compositore e direttore d’orchestra famoso, non ha alcuna intenzione di tornare a dirigere un’orchestra anche se a chiederglielo fosse la regina Elisabetta d’Inghilterra, inoltre porta avanti un rapporto di quasi incomunicabilità con la figlia. Mick, regista di altrettanta notorietà e fama, sta invece lavorando al suo nuovo e presumibilmente ultimo film per il quale vuole come protagonista la vecchia amica e star internazionale Brenda Morel. Entrambi hanno una forte consapevolezza del tempo che sta passando in modo inesorabile.”
Il film avanza senza una precisa direzione, immagini statiche e lente, con i due anziani amici che guardano davanti intravedendo unicamente la morte. I due parlano di amori risalenti ormai agli anni dell’adolescenza, affrontando con un senso di vuoto le lacerazioni dell’età.
Film profondo in cui non mancano le scene oniriche classiche del regista. Pellicola che rispecchia in parte la vita di Sorrentino, lasciando un continuo, costante e persistente senso di vuoto, di amarezza e solitudine.
Michael Caine dice a proposito della figlia: “non ricordo niente della mia infanzia, anche lei dimenticherà. Ho fatto tanti sforzi per un risultato insignificante.”, la una parte di vita del regista Paolo Sorrentino si nasconde dietro questa frase: “È questo. I miei sono morti da 26 anni. Ho passato più tempo senza di loro che con loro e mi trovo adesso nel punto esatto della vita in cui si trovava mio padre quando se n’è andato. Mia figlia ha 18 anni. Se rimanesse sola oggi cosa ricorderebbe, da adulta, dei nostri giorni insieme? È un pensiero che mi ha ossessionato come una malattia. Ho cominciato a scrivere per liberarmene. Due anni fa, nell’agosto dopo la Grande bellezza, esattamente quando lei è arrivata alla soglia che ho dovuto attraversare io alla sua età”.
Il suo cinema diventa poesia e dramma.
“Youth” è l’estrinsecazione di un continuo rimpianto da una posizione di staticità: nell’assurda realisticità la vita dei protagonisti, che oscilla fra due abissi, porta a riflettere. Non si tratta unicamente dell’invecchiare o di ricordare, ma è una perdita costante di se stessi, del tempo e di ciò che circonda l’uomo.
Anche la perdita dell’Io è uno dei temi, individui nascosti dietro alle maschere che la società vuole vedere e che ha creato, nessuno è se stesso, tutti sono una rappresentazione di ciò che gli altri vogliono.
Il Silenzio è costantemente riproposto insieme ad immagini cupe o di nudi. Quasi non corpi, ma manichini costretti in un silenzio drammatico e ambiguo.
Youth è il film della memoria e del triste elogio alle cose perdute – occasioni, bellezza, fama, giovinezza, ricordi, amore e necessità di leggerezza –, della vecchiaia e del suo tempo che sfugge.
Sorrentino sembra quasi voler esorcizzare una paura quasi patologica, la morte, il dolore e i rimpianti alternando toni amari e vena ironica. Ma c’è anche la musica, c’è l’amore per la scrittura, l’ossessione per il cinema.
E in tutto questo c’è anche lui un Maradona quasi irriconoscibile, con Marx tatuato su tutta la schiena, il cui tempo sembra averlo travolto inesorabilmente e senza pietà.
Il Maradona di Sorrentino è grasso, grosso, lento e con il bastone; ma non è solamente il degrado dei grandi tempi che furono, è ancora anche il Maradona dal piede d’oro, il mancino ribelle e quello che, come mostra il film, riesce a palleggiare con una pallina da tennis.
Il cinema diventa così poesia. Un Sorrentino che non passa indifferente, esattamente come tutti gli altri suoi capolavori, un Sorrentino che o lo ami o lo odi, non può esserti indifferente. Un Sorrentino che ti scava dentro, lento e profondo. Sorrentino.
Lucrezia Lessio
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